Illuminamento

Illuminazione pubblica a LED – 2^ parte

n3ell’articolo precedente sono state prese in considerazione soprattutto le sorgenti luminose a LED, ma chi si occupa di illuminotecnica sa che il confronto va fatto sulle caratteristiche dell’apparecchio di illuminazione: un apparecchio scadente rimane scadente anche con la migliore lampada al mondo installata.
Per ottimizzare sia in termini economici sia ambientali un sistema di illuminazione occorre adottare un sistema ottico in grado di massimizzare il flusso luminoso in relazione al compito visivo e ridurre l’impiego di potenza elettrica, oltre utilizzare tecnologie capaci di ottimizzare il ciclo di vita.
L’apparecchio deve essere tale da garantire le prestazioni da normativa col maggiore interasse possibile fra i punti luce, poiché i costi affrontati per realizzare le installazioni di pubblica illuminazione sono dovuti soprattutto agli scavi, ai plinti di fondazione, ai pozzetti e al palo e, in secondo luogo, poiché questo minimizza l’inquinamento luminoso prodotto.

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1) Caratteristiche degli apparecchi di illuminazione

Un apparecchio di illuminazione può essere definito un sistema che distribuisce, filtra o trasforma la luce emessa da una o più sorgenti e che include, ad eccezione delle lampade stesse, tutte le parti necessarie per fissare e proteggere le lampade e, ove necessario, circuiti ausiliari, compresi i cavi e le connessioni per l’alimentazione elettrica.
Possiamo pertanto pensare ad esso come una macchina, che ha lo scopo di trasformare l’energia elettrica in energia luminosa e di distribuire la luce così generata col minimo di perdite e massima sicurezza e funzionalità per l’utente.
Come per qualsiasi macchina si possono valutare numerosi fattori, come rendimento ed affidabilità, che possono guidare nella scelta del migliore apparecchio per il compito considerato.
Il primo parametro su cui basare la caratterizzazione è sicuramente quello dell’emissione luminosa, che determina il modo in cui l’apparecchio distribuisce la luce: per far questo si ricorre generalmente a delle rappresentazioni grafiche che indicano l’emissione luminosa secondo le diverse direzioni nello spazio, rapportata ad un flusso luminoso costante, in modo da avere una rappresentazione indipendente dal tipo di lampade installate.
Strettamente legata al tipo di emissione luminosa è la caratterizzazione spaziale del flusso e pertanto gli apparecchi vengono classificati in simmetrici od asimmetrici secondo la forma della curva, cut-off o non cut-off secondo la modalità di emissione luminosa, ecc.
Vi sono poi caratteristiche legate all’affidabilità dell’apparecchio nel tempo, come il cosiddetto “grado di protezione”, che indica la capacità di resistere ai contatti accidentali, alla penetrazione di polvere o umidità e alla penetrazione di acqua e la “classe di isolamento”, che classifica il grado di protezione dal contatto accidentale diretto con le parti normalmente in tensione o tra queste e la carcassa esterna.

2) Calcolo dell’illuminamento a terra

Prima di procedere con l’analisi delle curve fotometriche, appare d’obbligo capire come le caratteristiche di una lampada ed un apparecchio si traducano nell’illuminazione vera e propria sul piano da illuminare.
Per fare questo prendiamo in considerazione il calcolo dell’illuminamento puntuale a terra per una sorgente puntiforme (in realtà, le ultime normative prendono giustamente in considerazione la luminanza, che tiene conto anche dell’osservatore e della superficie illuminata; non mi sembra però utile, per ragioni di spazio e comprensione, illustrare un metodo di calcolo eccessivamente complicato, che verrà comunque riassunto più avanti).
Senza voler dilungarmi troppo sulle definizioni (per cui consiglio di leggere qui), è possibile definire l’illuminamento prodotto da una sorgente come:
form1L’angolo steriradiante sotteso all’area presa in esame è pari a:
form3in cui l’area da considerare è quella secondo la proiezione alla superficie con normale il raggio d’influenza considerato:
form2Possiamo pertanto scrivere:
form5Ricordando che l’intensità luminosa di una sorgente viene definita come:
form6otteniamo:
form7Questa legge è definita legge dell’inverso del quadrato.
Nel caso in cui abbiamo una sorgente ad un’altezza fissa h che emette un flusso verso terra, possiamo definire:

form8e quindi:

Legge coseno - figura La formula fornisce importanti indicazioni su come la luce si affievolisce allontanandosi dalla direzione normale alla superficie su cui incide: ad esempio, per una sorgente con intensità di 100 cd in ogni direzione, situata ad 1m di altezza dalla superficie, possiamo vedere come a 0° illumini 100 lux, a 30° illumini 65 lux (calo 35%) e già a 60° illumini 13 lux (calo 87%).
Da queste prime considerazioni è possibile osservare come certe curve fotometriche sono più consone di altre per una buona distribuzione della luce, poiché risulta fondamentale aumentare in modo esponenziale l’intensità luminosa allontanandosi dalla verticale per riuscire a fornire una distribuzione uniforme.

3) Emissione luminosa e caratteristiche fotometriche

Il tipo di emissione luminosa e quindi le caratteristiche fotometriche rappresentano i fattori più importanti sui quali operare la scelta dell’apparecchio di illuminazione.
La curva fotometria rappresenta graficamente come una sorgente luminosa emette luce nello spazio, vale a dire in che direzione emette la luce e con quale intensità; questa può essere associata a qualsiasi oggetto che emette luce, sia esso una semplice lampadina, un apparecchio illuminante o uno schermo che riflette della luce.
Per costruire una curva fotometrica è necessario misurare l’intensità luminosa emessa lungo determinate direzioni: è come se girassimo attorno all’apparecchio e, a diverse angolazioni, misurassimo l’intensità della luce emessa. L’apparecchio che compie questo rilievo, detto fotogoniometro, esegue le rilevazioni ad intervalli den determinati attorno alla sorgente luminosa.
La distribuzione delle intensità luminose può essere espressa tramite una superficie tridimensionale che viene detta solido fotometrico; l’analisi di questo solido consente di prevedere l’impatto sull’ambiente circostante.

immagine12

3.1) Curve fotometriche in coordinate polari

Poichè risulta complicato rappresentare in maniera adeguata il solido fotometrico in tre dimensioni, vengono generalmente adottate più rappresentazioni a due dimensioni. Un modo per rappresentare in due dimensioni la forma del solido fotometrico è quello di sezionarlo secondo uno dei piani di riferimento: l’insieme delle curve così ottenute (generalmente due) determina la cosiddetta “curva fotometrica”, che rappresenta, sotto forma di diagramma polare, la distribuzione delle intensità luminose di un apparecchio.
I sistemi di riferimento in base ai quali vengono definiti i piani di sezione su cui si tracciano le curve fotometriche sono stabiliti in base a precise convenzioni. Il sistema più diffuso è quello denominato C-γ secondo il quale il solido fotometrico è rappresentato tramite un fascio di piani che hanno in comune un asse, corrispondente all’asse ottico principale uscente dall’apparecchio. I piani vengono individuati con la sigla C, seguita dal valore dell’angolo che esprime la rotazione del piano rispetto al piano di riferimento (ad esempio C0, C90, ecc.). I valori di intensità giacenti su ciascun piano vengono individuati facendo riferimento all’angolo che ciascuna direzione forma con lasse ottico di riferimento, e indicandolo con la lettera greca γ, seguita dal valore dell’angolo. Gli angoli partono dal valore 0, che corrisponde all’asse ottico, e proseguono in senso antiorario con valori crescenti fino a 180°, che coincide con la retta dell’asse ottico principale, ma in direzione contrapposta.

pianiCPer una trattazione più precisa occorrerebbe riferirsi a semipiani C (che comprendono quindi i semipiani da 0 a 360): per questo motivo normalmente su uno stesso grafico si riportano i valori di due semipiani contrapposti (es. C0-C180; C90-C270), rispettivamente alla sinistra e alla destra dell’asse ottico.
Poiché spesso un apparecchio può essere equipaggiato con lampade diverse, che hanno le medesime caratteristiche geometriche ma emettono una diversa quantità di flusso, si preferisce riportare sul grafico un valore relativo. Per questo motivo viene fornita una sola curva con i valori di intensità relativi a una lampada convenzionale di 1000 lumen. Questo parametro permette di svincolare le curve fotometriche dal tipo di lampada utilizzata con un apparecchio e dalla sua potenza: invece di valori in candele si forniscono dunque dati in candele su kilolumen (cd/klm).
Per ottenere la reale intensità in candele è sufficiente moltiplicare il valore espresso sul grafico per i kilolumen delle lampade utilizzate.

esempio - curva

Come esempio prendiamo la fotometria del nuovo apparecchio a LED della Philips Mini-Iridium LED.
Dalla figura si può notare come l’intensità massima si attesta attorno ai 70° in direzione perpendicolare all’apparecchio (piano C0-C180, di colore blu in figura), con circa 720 cd/klm e cala rapidamente per direzioni più verticali, fino a circa 160 cd/klm, in modo da mantenere una illuminazione il più uniforme possibile, come detto in precedenza.
Osservando invece il piano C90-C270, di colore rosso in figura, ci si accorge che la luce è direzionata verso il basso, senza spingersi in avanti o indietro. Se la curva rossa avesse avuto una punta verso “destra” allora il fascio sarebbe stato orientato maggiormente verso la strada.
Per leggere più agevolmente i valori e per verificare la conformità di un apparecchio a quanto previsto dalle leggi contro l’inquinamento luminoso, non è sufficiente una sommaria visione della curva fotometrica (che potrebbe fra l’altro essere facilmente manipolata o “tagliata” oltre i 90°), ma è indispensabile la tabella dei valori di luminanza relativi alla curva che si sta analizzando.

3.2) Tabelle delle intensità ed inclinazione degli apparecchi

Le tabelle delle intensità luminose solitamente riportano sulle righe i valori degli angoli di elevazione e sulle colonne i valori dei piani di lettura.
Come per le curve fotometriche, le tabelle delle intensità generalmente riportano i dati in cd/klm.
Grazie a queste tabelle è inoltre possibile verificare il rispetto delle norme regionali contro l’inquinamento luminoso (ad esempio, per le norme della Lombardia, controllando che a 90° ed oltre vi siano 0 cd/klm).
tab1Qualora poi si presenti l’eventualità di installare l’apparecchio in posizione inclinata rispetto all’orizzontale, grazie alle tabelle è possibile conoscere la nuova fotometria associata “scalando” i valori della tabella iniziale verso il basso dell’angolo considerato. Ad esempio, per una inclinazione di 5°, riferendosi sempre all’apparecchio sopra avremo:

tab2In questo caso si nota come l’apparecchio, inclinato di 5°, non sia più conforme alle norme contro l’inquinamento luminoso.
I produttori di corpi illuminanti sono in grado di fornire tabelle che permettono di risalire al valore misurato dell’intensità luminosa emessa ad ogni angolo γ (gamma). In particolare queste tabelle di dati fotometrici di apparecchi d’illuminazione vengono realizzate e certificate da opportuni laboratori specializzati di enti terzi. Ad esempio l’Istituto Marchio di Qualità Italiano (IMQ) ha istituito il marchio di qualità “Performance” che come si può vedere dalla tabella riportata può essere utile per verificare per valori di γ maggiori di 90° se l’apparecchio è conforme alla LR 17/00.
La certificazione delle curve fotometriche da parte di un ente abilitato è obbligatoria per qualsiasi produttore che voglia vendere in Italia.

3.3) Comprendere i files Eulumdat

Le informazioni relative ad un apparecchio di illuminazione (come ad esempio le fotometrie indicate sopra) possono venire riassunte in formato elettronico tramite una codifica chiamata eulumdat (file con estensione *.ldt).
Per aprire questi files occorre un programma dedicato; in questa sede utilizziamo QLumEdit, un programma freeware che consente di leggere gli eulumdat.
Riferendoci all’apparecchio visto sopra, aprendo il file eulumdat, possiamo vedere che nella pagina “Diagram” viene indicata la curva fotometrica

qlum1
In “Luminous intensity” viene invece indicata la forma tabellare

qlum2
Inoltre nelle altre pagine possiamo leggere alcune caratteristiche di cui verrà discusso più avanti.
A tutti coloro che devono visionare un apparecchio di illuminazione consiglio sempre di farsi consegnare preventivamente i files eulumdat , in quanto dalle caratteristiche indicate è possibile farsi un’idea ben precisa dell’apparecchio (oltre ovviamente ad essere indispensabili qualora si voglia fare una simulazione dell’illuminamento su strada con programmi di calcolo).

3.4) Calcolo dell’illuminamento

Per capire il risultato “a terra” di una curva fotometrica è possibile eseguire il calcolo dell’illuminamento come indicato in precedenza. Pur non essendo più fondamentale ai fini dell’illuminazione stradale secondo nuova UNI 11248, risulta un buon indicatore in quanto rispecchia abbastanza fedelmente la “forma” dell’illuminazione sulla strada che fornisce un apparecchio.

Prendendo in considerazione l’apparecchio visto in precedenza, possiamo osservare come la curva fotometrica e la descrizione che ne abbiamo dato rispecchi l’illuminamento a terra:

iridiumInfatti possiamo osservare come l’illuminamento si mantenga abbastanza uniforme per tutto il piano (i colori vanno dal rosso->molta luce al viola->poca luce); inoltre la forma simmetrica della curva si rispecchia in un illuminazione simmetrica del piano. Inoltre possiamo osservare che la simmetria nel piano C90-C270 e la direzione verticale rispecchia una illuminazione che si sviluppa verticalmente al di sotto del punto luce (indicato con un puntino rosso in figura).

Prendendo in considerazione la curva fotometrica di un tipico apparecchio di illuminazione, possiamo vedere come la forma “allargata” della curva cerchi di fornire la massima ampiezza di illuminazione ed uniformità soprattutto verso quello che è il centro della careggiata; la forma protesa in avanti lungo il piano C90-C270 si riflette nello spostamento “in avanti” dell’illuminazione sul piano considerato:

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4) Cosa “deve fare” un apparecchio stradale

Gli apparecchi per illuminazione stradale devono soddisfare requisiti molto stringenti sia dal punto di vista fotometrico sia da quello costruttivo. Il flusso luminoso deve essere indirizzato con precisione nelle direzioni ottimali per la visibilità sulla strada e deve invece essere schermato nelle direzioni che possono procurare fastidio ai conducenti.
Le normative impongono valori di luminanza tali da garantire un buon discernimento degli ostacoli e al contempo una uniformità dell’illuminazione.
La luminanza è una grandezza vettoriale che esprime la densità con cui un’intensità luminosa viene emessa da una superficie e per questo motivo rappresenta in maniera adeguata la sensazione visiva prodotta da una sorgente luminosa sull’occhio umano (ad esempio una sorgente che emette una certa intensità da una superficie molto piccola produce sull’occhio una sensazione molto più forte di una sorgente analoga ma con una superficie molto più ampia).
Questa grandezza si distingue dall’illuminamento visto sopra perché non definisce la componente “reale” di luce che arriva a terra, ma piuttosto una componente “soggettiva” che appare all’osservatore in funzione dell’angolo dal quale sta osservando l’oggetto: in questo modo è possibile calcolare la densità di luce emessa da una superficie e che raggiunge l’osservatore con un certo angolo di visuale.
Inoltre per le applicazioni stradali è particolarmente calzante,in quanto riferita alla luminosità del manto stradale e come questa viene percepita dagli automobilisti.
Spesso viene valutata non tanto la luminanza in sé, quanto il rapporto fra questa e la luminanza degli oggetti vicini o dello sfondo. Anche nell’illuminazione stradale si tende ad ottenere una buona visibilità degli ostacoli aumentando il contrasto di luminanza fra il manto stradale e gli ostacoli stessi, cercando di rendere massima la luminanza del manto stradale nella direzione di vista prevalente di un osservatore (che si trova compresa in un angolo molto ristretto, da -1,5° a 0,5° rispetto all’orizzonte). Per ottenere un adeguato livello di luminanza in questa direzione, si devono privilegiare le direzioni di incidenza della luce molto radenti, capaci di generare verso il conducente una luminanza elevata grazie alla riflessione del manto stradale e in particolare alla sua componente speculare.
Il solido fotometrico di un apparecchio stradale avrà pertanto una forma simmetrica molto aperta, con il massimo di intensità per angoli molto elevati; allo stesso modo, per angoli troppo elevati, un’intensità molto elevata sarebbe causa di fenomeni di abbagliamento. Per questo motivo la curva fotometrica ottimale si presenta come simmetrica al piano longitudinale della strada, con intensità massime comprese fra i 65° e i 75° rispetto alla verticale e intensità molto ridotte oltre i 75° – 80°.
Lungo la direzione trasversale alla strada, la curva fotometrica è invece asimmetrica,  con direzione prevalente del flusso verso la strada nel caso l’installazione lungo il bordo strada.

La forma della curva fotometrica è importante per capire in modo intuitivo il comportamento dell’apparecchio che stiamo analizzando.
Nel caso di apparecchi destinati all’illuminazione stradale, è molto importante che la curva fotometrica invii la luce solo nelle direzioni interessate (lungo l’asse della strada e non al di fuori di essa) e con le giuste intensità luminose (distribuita la più uniformemente possibile). Risulta infatti evidente che, se vogliamo puntare all’installazione di un minor numero di apparecchi, questi dovranno “allargare” il più possibile il fascio luminoso. Per “allargare” si intende, riferendosi al piano (C0-C180 del disegno nella precedente pagina), inviare lateralmente molta luce, quindi con elevata intensità. Sulla verticale il livello di luce necessario è inferiore perché, come visto in precedenza, al fine di mantenere una illuminazione uniforme, la legge dell’inverso del quadrato impone una drastica riduzione dell’intensità luminosa.
Sul piano C90-C270 risulta importante prevedere maggiori intensità luminose verso il lato strada (comprese fra 0° e 90°).
Generalmente elevati coefficienti di uniformità portano a migliori risultati in termini di percezione visiva, pertanto strade con minore intensità luminosa ma con migliori parametri di uniformità sono senz’altro da preferirsi a vie molto luminose con scarsa uniformità. Inoltre, per evitare un’installazione su due lati della carreggiata o il ricorso a sbracci, si lavora sull’ottica in modo tale da garantire un’asimmetria che spinga la luce, oltre che lateralmente (destra e sinistra), anche in profondità (avanti). L’introduzione di questa ulteriore asimmetria ha consentito di riportare l’apparecchio sul bordo della carreggiata, come la classica applicazione su palo diritto.
La soluzione “testa palo” è da preferire alle installazioni su sbraccio, in quanto meno problematiche dal punto di vista manutentivo.
Nella scelta di apparecchi più efficienti rimane prioritaria la forma della curva sul piano C0-C180. La curva ideale dovrebbe avere un intensità luminosa verso il basso sufficiente, per ottenere il livello di illuminamento richiesto, poi ad angoli sempre più elevati l’intensità dovrà aumentare sempre più, infatti, è necessaria più luce mano a mano che aumenta la distanza tra la sorgente luminosa e la superficie, non dimenticando che l’inclinazione della luce aumenta sempre più incrementando ulteriormente la necessità di più luce. Verso inclinazioni di più o meno 70° è necessario che l’emissione della luce cessi. E’ importante che crolli molto rapidamente, il cosiddetto taglio netto della luce, meglio conosciuto come cut-off. L’emissione di intensità luminose oltre tali angolazioni non è più efficace e può risultare controproducente per l’effetto di abbagliamento procurato verso gli osservatori.

I due seguenti diagrammi danno un’indicazione delle forme ottimali che dovrebbero avere le curve isolux di un apparecchio di illuminazione stradale (con installazione su lato strada):

NM

PS

Ai fini della limitazione dell’abbagliamento può risultare utile tenere a mente la classificazione degli apparecchi in funzione della classificazione CIE 1977 degli apparecchi stradali in funzione della direzione di intensità massima e della intensità emessa oltre gli 80° (che generalmente viene indicata sulle specifiche degli apparecchi di illuminazione).

cutoff Da quanto detto in precedenza appare ovvio che gli apparecchi che producono minore abbagliamento risultano gli apparecchi cut-off .

5) Controllo del flusso luminoso verso l’alto

Il fenomeno comunemente indicato col termine “inquinamento luminoso”, in realtà dovrebbe venir chiamato “dispersione del flusso luminoso verso l’alto”.
Per quanto non sia dannoso, si tratta di un fenomeno che può essere fastidioso, in particolare in vicinanza degli osservatori astronomici, oltre che a limitare fortemente la quantità di luce utile che raggiunge il piano illuminato. Si cerca pertanto di ridurlo al minimo riducendo le intensità luminose emesse per angoli superiori a 90° rispetto alla verticale: gli apparecchio cut-off rispondono a questi requisiti e sono stati pertanto presi a modello nelle indicazioni delle varie leggi regionali in materia di inquinamento luminoso come apparecchio da installare in ambito stradale.
In realtà questo accorgimento non è comunque sufficiente, in quanto (soprattutto in ambito urbano) gran parte del flusso luminoso verso l’alto è dovuto alla riflessione del manto stradale e dalle altre superfici investite dalla luce: il dibattito in materia è ancora vivo e si assiste periodicamente a controversie fra le varie “fazioni” che vi prendono parte.
Non è questo l’ambito più appropriato per discutere di questa questione: ci si limita solamente a prendere atto che ormai la richiesta di apparecchi cut-off è presente in tutte le legislazioni regionali in materia.

6) Apparecchi a LED per illuminazione stradale

Spesso gli apparecchi tradizionali prevedono una certa possibilità di modificare le caratteristiche di emissione grazie a diverse posizioni di montaggio della lampada rispetto al riflettore, alle quali corrispondono solidi fotometrici con caratteristiche diverse: lo spostamento verticale da luogo a solidi fotometrici più o meno aperti in senso longitudinale rispetto alla strada, mentre lo spostamento orizzontale dà luogo a solidi più o meno asimmetrici in senso trasversale.
Ovviamente questa possibilità resta preclusa ad un apparecchio a LED, per i quali i produttori devono prevedere tanti modelli diversi per ogni curva fotometrica desiderata (e che quindi sono vincolati all’installazione prevista dal progetto illuminotecnico, senza poter essere spostati in situazioni differenti).
Questo limite incide in maniera pesante sulle possibilità di prefabbricazione delle componenti e quindi sui costi. Per ovviare a questo inconveniente e garantire al tempo stesso un’ottima resa i produttori di apparecchi a LED adottano le seguenti strategie:

  1. la prima soluzione consiste nel predisporre una piastra di LED in cui ognuno di questo abbia una diversa inclinazione, che possa portare ad un “mosaico” ottimale a terra; questa soluzione consente di sfruttare al massimo le potenzialità dei LED, senza ridurre l’intensità con lenti correttive, ma ovviamente è molto dispendiosa, in quanto ogni piastra deve essere un pezzo unico appositamente sagomato con diverse inclinazioni all’interno. Inoltre ogni diversa configurazione dell’ottica va pensata come un nuovo “pezzo” unico da mettere in produzione, con ricadute economiche notevoli poiché è possibile serializzare solo un discreto numero di configurazionigpe
  2. la seconda soluzione, più economica, consiste nel predisporre diverse file di LED su una piastra “standard” orizzontale e successivamente applicare a questi differenti micro-lenti, che hanno il compito di diffondere la luce in modo appropriato; il prezzo contenuto è dovuto alla grande flessibilità data dall’utilizzo di diverse lenti applicate su una piastra di base comune a tutti i modelli (questo consente una grande standardizzazione dei pezzi). Lo scotto che si paga è quello di una riduzione del flusso luminoso, dovuta all’applicazione di lenti sopra ogni LEDruud

7) Prestazioni: rendimento e flusso luminoso verso il basso

Oltre alla caratterizzazione della modalità di distribuzione della luce, uno dei parametri da prendere in considerazione è la capacità di un apparecchio di distribuire il flusso delle lampade con il minimo di perdite dovute all’assorbimento da parte del riflettore o ad altri fattori.
Il rendimento esprime il rapporto fra il flusso emesso dall’apparecchio e  il flusso emesso dalle lampade con cui l’apparecchio è equipaggiato (ed è quindi un valore compreso fra 0 e 1).
Ad esempio, un rendimento del 90% significa che se la lampada equipaggiata emette 10000 lm, in realtà l’apparecchio (vuoi per rifrazioni interne, perdite dovute alle ottiche, ecc…) emette 9000 lm.
Il rendimento esprime unicamente un rapporto di efficienza dell’apparecchio (in pratica esplicita le “perdite” di flusso) ma non esprime la “direzione” del fascio luminoso.
Generalmente per un apparecchio di illuminazione stradale è fondamentale che tutto il flusso sia rivolto verso la metà inferiore della sfera luminosa (e questo è garantito ad esempio dal rispetto delle norme contro l’inquinamento luminoso) e per questo motivo, al rendimento si preferisce il rendimento di flusso luminoso rivolta verso il basso, chiamato brevemente DLor.
Ad esempio, riferendoci sempre ad una lampada che emette 10000 lm, un DLor pari all’ 80% significa che l’apparecchio di illuminazione emetterà un flusso luminoso totale diretto verso il basso pari a 8000 lm.
Un apparecchio tradizionale di illuminazione di ultima generazione che monta lampade al sodio alta pressione presenta valori di DLor prossimi all’80%: questo significa che equipaggiato con una sorgente da 100W SAP da 10000 lm riversa nell’emisfero inferiore 8000 lm.
Ovviamente il rendimento non indica “come” viene illuminata la superficie di riferimento e per questo non è un parametro che da solo può definire le prestazioni di un apparecchio di illuminazione.

Per valutare il DLor di un apparecchio utilizziamo ancora QLumEdit: nella sezione Luminaire vengono indicate le percentuali di flusso luminoso orientato verso il basso ed il rendimentorendimento
In questo caso si può vedere come l’apparecchio abbia un rendimento dell’ 80% e convogli tutto il flusso luminoso verso il basso (100% indicato nella tabella). Per calcolare il fattore DLor basta semplicemente moltiplicare fra loro questi due fattori ed ottenere così il rendimento del flusso luminoso verso il basso.

8 ) Efficienza luminosa globale degli apparecchi

A questo punto siamo in grado di valutare l’efficienza luminosa globale degli apparecchi e quindi confrontare la loro bontà dal punto di vista quantitativo (si suppone di seguito che ogni apparecchio preso in esame risponda correttamente al compito visivo assegnatoli).
L’efficienza luminosa viene calcolata come rapporto fra flusso luminoso emesso e potenza totale assorbita dall’apparecchio.
Il valore del flusso luminoso in questo caso sarà quello realmente uscente dall’apparecchio, calcolato come sopra tramite il coefficiente DLor.
La potenza totale assorbita invece è quella comprensiva di lampade, alimentatore, perdite, ecc.. Questa corrisponde alla potenza che si potrebbe leggere “a monte” dell’apparecchio se andassi a misurarla mentre sta funzionando. Per stimare la potenza assorbita, qualora si abbia come valore di riferimento unicamente la potenza assorbita dalle lampade, occorre considerare che un alimentatore elettronico di nuova generazione assorbe circa il 7%-15% in più rispetto a questo dato per le lampade a scarica (ovviamente più la potenza delle lampade aumenta, più aumenta in percentuale la potenza assorbita dall’alimentatore e le perdite correlate). Per le lampade al sodio, abbiamo circa 75W totali per una lampada da 70W, 107W totali per una lampada da 100W, ecc..
Per le lampade al LED invece si può stimare che un alimentatore elettronico per queste lampade assorba circa il 13%-18% in più rispetto alla potenza dichiarata delle lampade, poichè non sempre il fattore di potenza è superiore a 0,95 come per le lampade a scarica.
In questo caso sarebbe quindi più corretto parlare di potenza apparente (VA) dell’apparecchio ed è questa quindi che verrà presa in considerazione di seguito.

A questo punto siamo in grado di calcolare l’efficienza luminosa globale degli apparecchi di illuminazione stradale.
Ad esempio, un apparecchio tradizionale che monta una lampada SAP di ultima generazione a 100W (di flusso luminoso pari a 10700lm), con alimentatore elettronico e DLor pari al 80% (consideriamo fra i migliori apparecchi in circolazione) avrà un rendimento globale di:

10700*80%/107 = 80 lm/W

Prendendo invece i dati di una famosa ditta produttrice di  apparecchi LED abbiamo che un apparecchio che monta 100 LED alimentati a 350mA produce un flusso luminoso pari a 10000lm ed un consumo di 100*1,1W=110W+alimentatore=127W.  Dagli eulumdat si può leggere un DLor pari a 85,7% (è un apparecchio con microottiche, come indicato sopra). In questo modo possiamo calcolare un rendimento globale di:

10000*85,7%/127 = 67 lm/W

Non dissimili sono i dati di un’altrettanto famosa ditta che per un apparecchio a 43 LED alimentati a 350mA dichiara un flusso luminoso di 4376 lm per un consumo totale di 72W e un DLor pari al 100% (in questo caso è un apparecchio senza microottiche). In questo modo abbiamo un rendimento globale simile al precedente:

4376*100%/72= 61 lm/W

Invito tutti a fare delle prove per verificare quanto ho detto.

Se la matematica non è un opinione, a parità di qualità della distribuzione della luce (tutti e tre gli apparecchi indicati sopra consentono di ottenere luminosità ed uniformità sul manto stradale) risulta che gli apparecchi tradizionali forniscono comunque un 30% di luce in più rispetto agli apparecchi a LED.
Guarda caso il ricorso allo sconto di categoria illuminotecnica (sbandierato da tutti i produttori di apparecchi a LED) consente appunto di ridurre di circa il 33% il flusso luminoso necessario per illuminare correttamente una strada (e quindi parificare i risultati).

9) Conclusioni (provvisorie)

Come ho già avuto modo di affermare, i LED sono una tecnologia molto promettente, che ha grandi possibilità (si parla di limiti superiori ai 400 lm/W). Molto presto, quando LED a 140 lm/W saranno disponibili a prezzi commerciali, la superiorità di questa tecnologia sarà manifesta.

Oggi come oggi però per l’illuminazione stradale non si hanno ancora condizioni accettabili che possano garantire la giusta illuminazione ed al contempo un risparmio energetico rispetto agli standard degli apparecchi di illuminazione tradizionali (ma di questo parlerò nella terza parte di questo lungo articolo).

Chiunque affermi il contrario sarebbe pregato di fornire una dimostrazione più che attendibile dei propri risultati (sulla linea che ho seguito io per la dimostrazione delle varie caratteristiche dei LED): è molto facile dire “io posso farti risparmiare il 50%” e poi elencare una serie di caratteristiche estrapolate in maniera del tutto arbitraria dai dati ufficiali.
Il metodo per calcolare l’efficienza, il consumo e la qualità di un apparecchio a LED è stato indicato in questi due articoli e spero pertanto che siano di aiuto ai tecnici che vogliano capirci qualcosa nel gran polverone sollevato in questi ultimi tempi.

S.V.B.E.E.Q.V.

Matteo Seraceni

L’articolo continua con un intermezzo.