
Illuminazione stradale LED____________________________________________________________________________________________________________Illuminazione stradale LED
d un anno di distanza dalla stesura dei primi articoli sui LED sono cambiate molte cose: la crisi economica ha messo a dura prova il mercato degli apparecchi illuminanti e ha spazzato via molti produttori senza arte nè parte improvvisatisi specialisti di illuminazione a LED; inoltre l’arrivo di una nuova generazione di diodi e componenti ha permesso dall’inizio di quest’anno l’affacciarsi sul mercato di prodotti adeguati all’illuminazione stradale.
Altre cose però non sono cambiate per niente: la mancanza ormai cronica di norme che regolino in qualche modo la produzione dei diodi LED, uniformandone caratteristiche e prestazioni, così come mancano ancora standard di misura accettati per le prove in laboratorio sulla durata; non è cambiato nemmeno l’atteggiamento di molti venditori, capaci unicamente di confondere le idee con proclami e slogan degni di una campagna elettorale, senza però produrre mai prove sulla bontà dei propri prodotti.
Ad aggravare la situazione contribuisce l’insufficienza delle corrette informazioni a disposizione degli Amministratori, che per svolgere il loro mandato non debbono essere preparati ad affrontare ogni materia tecnica con rigore scientifico, e pertanto non riescono a discernere in maniera appropriata i dati forniti dai vari costruttori: risulta così abbastanza facile vendere prodotti non competitivi a livello di mercato, facendo leva sulla confusione degli interlocutori.
Questo stato è noto in economica come “asimmetria informativa”, e si ha quando una parte degli agenti interessati nello scambio economico ha maggiori informazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione.
“Se pensate che molti esperti usino gli elementi in loro possesso a vostro detrimento, non vi sbagliate. La sussistenza dell’esperto dipende proprio dal fatto che lui ha le informazioni e voi no. O dal fatto che vi sentiate talmente disarmati davanti alla complessità di un’operazione da non sapere comunque che uso fare delle informazioni, anche quando le aveste. O che siate ancora talmente in erba da non avere l’audacia di misurarvi con un esperto blasonato come lui. Se il dottore vi suggerisce l’angioplastica – nonostante alcune ricerche paiano indicare che fa ben poco nella prevenzione dell’infarto – difficilmente penserete che il vostro medico stia approfittando dell’asimmetria informativa per spillarvi qualche migliaio di dollari in combutta con il collega” da Steven D.Levitt e Stephen J.Dubner “Freakonomics. Il calcolo dell’incalcolabile” Sperling & Kupfer Editori, 2006.
I miei articoli risultano così “scomodi” a molti perchè ho semplicemente cercato di ristabilire la centralità dell’ago della bilancia, mediante la pubblicazione di informazioni essenziali per capire il problema LED e diminuire una parte dell’assimetria: questo ovviamente da fastidio ai venditori perchè in un rapporto non più impari non è più possibile presentare prodotti non adeguati.
Ma parliamo di apparecchi a LED.
1) Apparecchi illuminanti a LED
L’errore più comune che si commette parlando di illuminazione a LED sta nell’equivocare fra “sorgente luminosa” ed “apparecchio illuminante”: una sorgente luminosa non è che una parte di un apparecchio di illuminazione e pertanto basare la comparazione solo su una componente porta a risultati parziali ed erronei. Come ben sa chi si occupa di illuminotecnica, un apparecchio illuminante scadente rimane scadente anche con la migliore sorgente luminosa installata; inoltre un cattivo alimentatore può compromettere il corretto funzionamento e ridurre drasticamente l’aspettativa di vita.
Appare doveroso quindi, una volta definite le peculiarità delle sorgenti luminose a LED, ampliare il discorso a comprendere tutte quelle parti che possono determinare una buona o cattiva illuminazione. Per fare questo ricordiamo che un apparecchio di illuminazione può essere definito un sistema che distribuisce, filtra o trasforma la luce emessa da una o più sorgenti e che include le parti necessarie per posizionare e proteggere le sorgenti ed i circuiti ausiliari per il corretto funzionamento del sistema. Possiamo pertanto pensare ad esso come una macchina, che ha lo scopo di trasformare l’energia elettrica in energia luminosa e di farlo nel miglior modo possibile.
Un apparecchio illuminante stradale a LED si compone di diverse parti (che generalmente non sono presenti nei corrispettivi a lampade a scarica) che vengono riassunte nello schema sottostante:

Componenti di un apparecchio LED
Si può quindi notare come in linea di massima non esistano componenti dedicati alla diffusione del flusso luminoso integrati nella carena: il gruppo ottico di un apparecchio di illuminazione a LED è formato dai LED stessi, disposti in vario modo ed eventualmente affiancati da ottiche applicate (ricordiamo che un modulo LED è costituito, oltre al diodo luminoso, di una base su cui sono disposti i componenti e di una lente applicata al di sopra di esso che direziona il fascio uscente).
Un’altra peculiarità consiste nella presenza di sistemi di dissipazione più o meno consistenti, ubicati generalmente nella parte superiore della carena, indispensabili per ridurre le temperature di esercizio dei diodi (tali sistemi non sono necessari negli apparecchi con lampade a scarica, in quanto l’ambiente in cui viene alloggiata la lampada è più che sufficiente per una corretta dissipazione). Il gruppo di alimentazione invece risulta alloggiato all’interno del corpo dell’apparecchio.
Ognuno di questi componenti influisce in maniera sostanziale sul funzionamento del sistema.
1.1) Alimentatore elettronico (driver)
I LED sono componenti a bassissima tensione, che devono essere alimentati in corrente continua, livellata e stabilizzata. Gli alimentatori per LED sono di tipo elettronico e provvedono a svolgere le funzioni sia di trasformatore che di convertitore.
Le sorgenti a LED hanno una vita media molto lunga e quindi occorre che anche i driver abbiano una mortalità molto bassa; ad oggi gli alimentatori elettronici hanno una mortalità media che va dall’ 1% al 5% ogni 10.000 ore di funzionamento. Pertanto, nelle 50.000 ore di funzionamento attese per le sorgenti LED, avremo dal 5% al 25% di mortalità sugli alimentatori: questo significa che durante il ciclo di vita previsto per un’armatura a LED è possibile prevedere la sostituzione del driver in 1 apparecchio di illuminazione su 10. Grazie a questo dato vengono già da subito annullate le pretese di manutenzione nulla prospettate da numerosi produttori.
Inoltre la durata di vita attesa per un alimentatore elettronico decresce in maniera esponenziale all’aumentare della temperatura di lavoro: poiché le sorgenti a LED possono produrre molto calore, occorre che il driver sia adeguatamente distanziato e separato dalla parte in cui sono alloggiati i LED, per impedire eventuali malfunzionamenti.
Un driver deve assicurare un livello di corrente costantemente stabilizzato per garantire una certa uniformità nelle prestazioni: per questo motivo dovrebbe risultare molto più “robusto” degli alimentatori elettronici standard; ad oggi solo i produttori che utilizzano specifiche militari riescono a garantire una resistenza adeguata agli sbalzi di tensione che possono verificarsi all’interno della rete di distribuzione elettrica (cosa che incide in maniera rilevante sui costi di produzione).
Infine va notato che nella maggioranza dei prodotti presenti sul mercato, l’efficienza degli alimentatori elettronici (definita come rapporto fra potenza assorbita dalla lampada e potenza totale assorbita dal sistema) difficilmente si attesta al di sopra di ηb =0,88 indicato come standard per le potenze nominali fino a 100W dal regolamento CE n. 245/2009 che riguarda le specifiche per la progettazione ecocompatibile. Questo ovviamente si ripercuote in un maggiore consumo del sistema a parità di flusso luminoso erogato.
1.2) Caratteristiche dei sistemi di dissipazione
Le sorgenti luminose a LED in realtà sono più “fredde” delle sorgenti a scarica tradizionali (che possono raggiungere valori ben al di sopra dei 2000°C durante il loro normale funzionamento), ma questo non li esenta dai problemi legati al surriscaldamento: un diodo LED infatti rimane pur sempre un semiconduttore ed in quanto tale molto sensibile alle alte temperature; inoltre sappiamo che gran parte delle caratteristiche prestazionali dipendono dalla temperatura di giunzione, e quindi a maggior ragione occorre prestare attenzione ai dispositivi di dissipazione.
Per capire le grandezze in gioco va ricordato che ad oggi solo il 15% circa della potenza elettrica consumata da una sorgente a LED viene trasformata in luce, mentre il restante 85% si perde in calore. Questo dato da una parte fa intravedere come i margini di miglioramento sull’efficienza siano ancora ampi per questa tecnologia, ma dall’altra evidenzia lo spreco e lo sviluppo incredibile di calore al suo interno.
Il gap fra temperatura di giunzione e temperatura ambiente si aggira attorno ai 50°C – 70°C e non potrebbe in alcun modo venire smaltito dalla piccola area dei diodi: per questo alla piastra su cui vengono saldati i LED viene affiancato un vero e proprio dispositivo di dissipazione alettato.
Ovviamente migliori sono i materiali utilizzati per la piastra e le alette e migliore sarà lo smaltimento del calore: purtroppo per contenere i costi non tutti i produttori adottano i migliori materiali a disposizione (come ad esempio potrebbero essere le piastre ceramiche) a discapito delle prestazioni finali.
Questa disposizione inoltre genera due “zone” estremamente sensibili, che vanno curate nell’assemblaggio dell’apparecchio. La prima riguarda la saldatura del diodo LED con la piastra sottostante: ad oggi in Italia gli stabilimenti certificati dai produttori di LED si contano sulle dita di una mano e non sempre gli assemblatori si affidano a questi; inutile dire che una saldatura difettosa (o comunque un non corretto allineamento) può pregiudicare il corretto trasferimento di calore e così ridurre prestazioni e vita utile. La seconda riguarda il collegamento fra piastra e dispositivo di dissipazione: anche in questo caso le connessioni devono essere curate ed affidabili.

Apparecchio LED con piastra di dissipazione superiore
Alcuni produttori hanno adottato dispositivi che possono limitare la potenza erogata in funzione della temperatura di esercizio, in modo da evitare pericolosi surriscaldamenti (come ad esempio avviene nel thermal managment dei processori per computer): questo però potrebbe portare ad improvvisi cali di flusso luminoso non dipendenti dalla volontà del gestore e quindi resta da capire come possano continuare ad essere verificate le prescrizioni illuminotecniche allorchè un apparecchio all’improvviso si ritrovi ad emettere meno luce di quella prevista.
A questo va sommato il fatto che generalmente la temperatura all’interno degli apparecchi illuminanti a LED è superiore a quella di riferimento di laboratorio a cui le loro prestazioni sono riferite e pertanto i dati forniti dai produttori risultano ancora parziali e non perfettamente aderenti alla realtà.
1.3) Caratteristiche fotometriche di un’armatura stradale
Gli apparecchi per illuminazione stradale devono soddisfare requisiti molto stringenti dal punto di vista fotometrico: il flusso luminoso deve essere indirizzato con precisione nelle direzioni ottimali per la visibilità sulla strada e deve invece essere schermato nelle direzioni che possono procurare fastidio ai conducenti.
Per valutare le caratteristiche illuminotecniche di un’armatura stradale occorre analizzarne il solido fotometrico, che rappresenta l’intensità luminosa normalizzata emessa dalla sorgente (espressa solitamente in cd/klm) lungo le varie direzioni spaziali. Il modo più utilizzato per rappresentare graficamente la forma del solido fotometrico è quello di sezionarlo secondo uno dei piani di riferimento: l’insieme delle curve così ottenute determina la cosiddetta “curva fotometrica”, che rappresenta, sotto forma di diagramma polare, la distribuzione delle intensità luminose di un apparecchio. Grazie all’analisi delle curve fotometriche è possibile valutare in maniera intuitiva il funzionamento di un apparecchio di illuminazione.
Nel caso di apparecchi destinati all’illuminazione stradale, è molto importante che la curva fotometrica invii la luce solo nelle direzioni interessate (lungo l’asse della strada e non al di fuori di essa) e con le giuste intensità luminose (distribuita la più uniformemente possibile).
Per fare questo ci si basa sul parametro di riferimento adottato dalla norma UNI 11248: la luminanza del manto stradale. La normativa impone valori tali da garantire un buon discernimento degli ostacoli e al contempo una uniformità d’illuminazione della sede stradale e dei dintorni.
La luminanza è una grandezza vettoriale che esprime la densità con cui un’intensità luminosa viene emessa da una superficie e per questo motivo rappresenta in maniera adeguata la sensazione visiva prodotta da una sorgente luminosa sull’occhio umano; dalla definizione segue che una sorgente che emette una certa intensità da una superficie molto piccola (come un diodo LED) produce sull’occhio una sensazione molto più forte di una sorgente analoga ma con una superficie molto più ampia (come una lampada tradizionale): questo fattore già rende conto di uno dei problemi principali degli apparecchi illuminanti a LED e cioè il controllo dell’abbagliamento.
Questa grandezza inoltre si distingue dall’illuminamento perché non definisce la componente “reale” di luce che arriva a terra, ma piuttosto una componente “soggettiva” che appare all’osservatore in funzione dell’angolo dal quale sta osservando l’oggetto e alla capacità della superficie illuminata (in questo caso l’asfalto stradale) di riflettere la luce.
Per le applicazioni stradali l’adozione della luminanza come parametro di riferimento significa definire la luminosità del manto stradale, come questa viene percepita dagli automobilisti e come questa può aiutare il compito visivo di un automobilista. Si può ottenere una buona visibilità degli ostacoli aumentando il contrasto di luminanza fra il manto stradale e gli ostacoli stessi, cercando di rendere massima la luminanza del manto stradale nella direzione di vista prevalente di un osservatore (che si trova compresa in un angolo molto ristretto, da -1,5° a 0,5° rispetto all’orizzonte): per un adeguato livello di luminanza in questa direzione, si devono privilegiare le direzioni di incidenza della luce molto radenti, capaci di generare verso il conducente una luminanza elevata grazie alla riflessione del manto stradale e in particolare alla sua componente speculare.
Per questo nella scelta di apparecchi efficienti rimane prioritaria la forma della curva sul piano C0-C180: il solido fotometrico di un apparecchio stradale avrà una forma simmetrica molto aperta, con il massimo di intensità per angoli molto elevati; allo stesso modo, per angoli troppo elevati, un’intensità molto elevata sarebbe causa di fenomeni di abbagliamento. Per questo motivo la curva fotometrica ottimale si presenta come simmetrica al piano longitudinale della strada, con intensità massime comprese fra i 60° e i 70° rispetto alla verticale (attraverso il calcolo della luminanza stradale è possibile stabilire che questa è fornita per circa il 45% per angoli compresi fra i 60° e 70°) e intensità molto ridotte oltre i 70°.
Questo parametro può venir letto direttamente dalla curva fotometrica oppure si può far riferimento all’apertura massima del fascio nel senso trasversale definita spread secondo il CIE 1976 (angolo che forma l’asse del fascio luminoso rispetto al 90% del valore massimo di intensità luminosa).

Visualizzazione grafica dello spread e throw
Uno spread attorno ai 60° può garantire un limitato abbagliamento affiancato al massimo di “allargamento” possibile che può garantire l’installazione del minor numero di apparecchi.
Ad angoli minori, l’intensità può diminuire sempre di più, poiché diminuisce la distanza fra sorgente luminosa e superficie; questo consente di ottenere anche una giusta uniformità di distribuzione della luce sul manto stradale: generalmente elevati coefficienti di uniformità portano a migliori risultati in termini di percezione visiva, pertanto strade con minore intensità luminosa ma con migliori parametri di uniformità sono senz’altro da preferirsi a vie molto luminose con scarsa uniformità. La norma UNI 11248 prevede il rispetto di due tipi di uniformità: la prima è calcolata come uniformità generale della carreggiata (U0), la seconda è definita come uniformità lungo la posizione dell’osservatore sulla carreggiata (Ul).
Per comprendere meglio quanto detto è opportuno fare alcuni esempi con apparecchi in commercio.

Fotometria di un apparecchio illuminante
Una fotometria di questo tipo ad esempio non può assolutamente essere utilizzata in ambito stradale, in quanto si evidenzia una totale mancanza di “allargamento” della curva fotometrica sul piano C0-C180 (indicato in rosso in figura: si nota che l’intensità massima non è attorno ai 60°, ma adirittura a 0°); inoltre l’intensità luminosa, anziché aumentare andando verso aperture più elevate, diminuisce: questo significa che avremo tantissima luce al di sotto dell’apparecchio illuminante, mentre molto poca nelle immediate vicinanze. La fotometria in questione pertanto non solo è errata dal punto di vista prestazionale (non consente grandi interdistanze), ma comporta una grande disuniformità di illuminazione sul piano stradale.
Nella fotometria seguente vediamo che la curva è molto allargata e che i valori di luminosità aumentano andando verso aperture più elevate: questo dovrebbe garantire una buona uniformità associata alla possibilità di avere interdistanze elevate fra i punti luce.

Fotometria di un apparecchio illuminante LED
Dal rilievo si nota però come la massima intensità luminosa si attesti attorno ai 75°, cosa che potrebbe comportare un effetto fastidioso dovuto all’abbagliamento. Un primo parametro di valutazione in questo caso può essere fornito dal parametro SLI (specific luminaire index), definito sempre dal CIE 1976 come indicatore dell’abbagliamento: per l’apparecchio in questione si nota infatti un SLI<4, che indica un moderato controllo dell’abbagliamento (in confronto ad uno SLI>4 che indicherebbe un elevato controllo dell’abbagliamento).
Sul piano C90-C270 invece risulta importante prevedere maggiori intensità luminose verso il lato strada, per evitare un’installazione su due lati della carreggiata o il ricorso a sbracci: l’introduzione di questa ulteriore asimmetria consente di riportare l’apparecchio sul bordo della carreggiata (come la classica applicazione su palo diritto), che è da preferire alle installazioni su sbraccio, in quanto meno problematiche dal punto di vista manutentivo.Anche in questo caso si può fare riferimento alla curva fotometrica oppure ai valori dei coefficienti di utilizzazione lato strada e lato marciapiede dell’apparecchio illuminante.
Lungo la direzione trasversale alla strada pertanto la curva fotometrica è asimmetrica, con direzione prevalente del flusso verso la strada nel caso di installazione lungo il bordo strada (ovviamente per installazioni a centro strada è opportuno che la curva sia simmetrica).
Questo non significa che tutto il flusso deve essere indirizzato in direzione della strada, poiché un parametro fondamentale della norma UNI 11248, il Surrounding Ratio, prevede che una parte della luce vada indirizzata anche in direzione del marciapiede. Poiché non sempre i diodi LED hanno un’efficienza luminosa paragonabile a quella delle lampade a scarica, alcuni produttori hanno pensato di “spingere” il fascio di luce solamente in direzione della strada, in modo da avere unaluminanza sufficiente: questo significa però che il coefficiente di utilizzazione lato marciapiede risulta insufficiente, come si può notare dal grafico sottostante.

Tabella dei coefficienti lato strada/marciapiede
Poiché il Surrounding Ratio prevede un coefficiente minimo di 0,5 questo significa che in generale si richiede che il coefficiente di utilizzazione lato marciapiede sia all’incirca pari a poco meno della metà del coefficiente di utilizzazione lato strada.
Ovviamente non bastano poche righe per esaurire un argomento così vasto come quello della giusta fotometria di un apparecchio illuminante; quanto detto vale solo criterio di massima per fare una prima selezione degli apparecchi, ma per una corretta valutazione rimane imprescindibile il calcolo illuminotecnico.
1.4) Caratteristiche del gruppo ottico
Spesso gli apparecchi tradizionali prevedono una certa possibilità di modificare le caratteristiche di emissione grazie a diverse posizioni di montaggio della lampada rispetto al riflettore, alle quali corrispondono solidi fotometrici con caratteristiche diverse: lo spostamento verticale da luogo a solidi fotometrici più o meno aperti in senso longitudinale rispetto alla strada, mentre lo spostamento orizzontale dà luogo a solidi più o meno asimmetrici in senso trasversale.
Ovviamente questa possibilità resta preclusa ad un apparecchio a LED, per i quali i produttori devono prevedere tanti modelli diversi per ogni curva fotometrica desiderata (e che quindi sono vincolati all’installazione prevista dal progetto illuminotecnico, senza poter essere spostati in situazioni differenti).
Questo limite incide in maniera pesante sulle possibilità di prefabbricazione delle componenti e quindi sui costi. Per ovviare a questo inconveniente e garantire al tempo stesso un’ottima resa i produttori di apparecchi a LED adottano prevalentemente le seguenti strategie:
- la prima soluzione consiste nel predisporre una piastra di LED in cui ognuno di questo abbia una diversa inclinazione, che possa portare ad un “mosaico” ottimale a terra; questa soluzione consente di sfruttare al massimo le potenzialità dei LED, senza ridurre l’intensità con lenti correttive, ma ovviamente è molto dispendiosa, in quanto ogni piastra deve essere un pezzo unico appositamente sagomato con diverse inclinazioni all’interno. Inoltre ogni diversa configurazione dell’ottica va pensata come un nuovo “pezzo” unico da mettere in produzione, con ricadute economiche notevoli poiché è possibile serializzare solo un discreto numero di configurazioni;

Sistema ottico con LED inclinati
- la seconda soluzione, più economica, consiste nel predisporre diverse file di LED su una piastra “standard” orizzontale e successivamente applicare a questi differenti lenti e micro-lenti, che hanno il compito di diffondere la luce in modo appropriato; il prezzo contenuto è dovuto alla grande flessibilità data dall’utilizzo di diverse lenti applicate su una piastra di base comune a tutti i modelli (questo consente una grande standardizzazione dei pezzi). Lo scotto che si paga è quello di una riduzione del flusso luminoso, dovuta all’applicazione di lenti sopra ogni LED;

Sistema ottico con microlenti
- la terza soluzione consiste sempre nel predisporre diverse file di LED su una piastra “standard” orizzontale, ma anzichè dotarsi di microlenti viene costruito attorno ad ogni diodi un piccolo rifrattore, che definisce una curva fotometrica come per una lampada tradizionale; anche in questo caso il prezzo contenuto è dovuto alla grande flessibilità, ma il rendimento di un’ottica di questo tipo rimane di poco superiore a quella di un’ottica per apparecchi tradizionali.

Sistema ottico con rifrattori
Queste soluzioni sono strettamente legate alle caratteristiche del diodo LED, poiché a seconda del produttore, presenta dimensioni ed ottiche diverse; quindi una volta definita la forma della parte ottica, questa rimane ancorata ad un determinato diodo, che difficilmente sarà possibile sostituire, non solo con uno di marca diversa ma anche con le future evoluzioni dello stesso LED. In particolare ogni apparecchio illuminante LED è un prodotto unico, non replicabile e generalmente neppure “aggiornabile” (anche se di recente alcuni produttori hanno proposto apparecchi con ottiche ed alimentatori intercambiabile).
Un altro problema è dovuto al fatto che il singolo diodo è piccolo, ma per arrivare ai flussi delle lampade a scarica ne occorrono tanti: una delle principali caratteristiche del LED, quella della compattezza, si perde così nell’assemblaggio; mentre gran parte dei produttori stanno cercando di ottimizzare le dimensioni degli apparecchi e ridurre quindi imballaggi e merci di consumo, ci ritroviamo con apparecchi a LED grandi 2 volte o più un apparecchio tradizionale.
Infine va ricordato come l’ottica di un apparecchio di illuminazione a LED sia costituita da più diodi, ognuno dei quali contribuisce all’illuminamento di una certa parte della sede stradale: nel malaugurato caso che anche un singolo LED si rompa (oppure riduca in maniera sostanziale il proprio flusso oppure semplicemente sia stato saldato in una posizione leggermente diversa da quella prestabilita) la fotometria non può più sopperire al compito visivo richiesto, poiché incompleta; ad oggi, vista l’impossibilità di una sostituzione immediata dei singoli diodi, questo si traduce in una sostituzione completa dell’intera armatura.
2) Rendimento globale di un apparecchi illuminante
Data la moltitudine di apparecchi illuminanti e sorgenti a LED oggi presenti sul mercato, occorre definire un criterio di valutazione che possa accorpare gli elementi che concorrono ad una buona illuminazione: fattori come il rendimento di un apparecchio e l’efficienza luminosa delle lampade riflettono unicamente caratteristiche parziali e non esaustive.
In particolare il rendimento di un apparecchio (calcolato come rapporto fra flusso luminoso emesso dall’apparecchio e flusso originariamente emesso dalle lampade nude presenti in esso) non tiene conto dell’eventuale flusso luminoso disperso verso l’alto (e quindi non utilizzato per l’illuminazione del piano stradale) e della potenza assorbita dall’apparecchio. L’efficienza luminosa delle lampade (calcolata come rapporto fra flusso luminoso emesso dalla lampada e potenza elettrica consumata) d’altra parte è un’efficienza nominale, che quindi non tiene conto della reale potenza assorbita dalle altre componenti elettroniche presenti all’interno dell’apparecchio ed inoltre non fornisce indicazioni sul flusso disperso a causa di riflessioni interne, lenti, ecc…
Per questo motivo si è scelto di incorporare questi due fattori in un coefficiente globale che tenga conto del flusso utile emesso dall’apparecchio e della reale potenza assorbita dall’apparecchio.
Generalmente per un apparecchio di illuminazione stradale è fondamentale che tutto il flusso sia rivolto verso la metà inferiore della sfera luminosa (e questo è garantito ad esempio dal rispetto delle norme contro l’inquinamento luminoso) e per questo motivo, al rendimento si preferisce il rendimento di flusso luminoso rivolta verso il basso (definito dal parametro DLor).
Questo coefficiente rende inoltre conto del reale significato fisico di rendimento, inteso come rapporto tra lavoro compiuto da un sistema e l’energia fornita al sistema (anche se nel questo caso specifico si sono prese in considerazioni potenze anziché energie).
L’efficienza luminosa viene calcolata come rapporto fra flusso luminoso diretto verso il basso e potenza totale assorbita dall’apparecchio La potenza totale assorbita invece è quella comprensiva di lampade, alimentatore, perdite, ecc.. Questa corrisponde alla potenza che si potrebbe leggere “a monte” dell’apparecchio se andassi a misurarla mentre sta funzionando.
Infine, contrariamente a quanto Forcolini indica nel suo libro dedicato ai LED, il confronto va fatto in base alle migliori tecnologie oggi disponibili sul mercato (e non confrontando l’ultimo apparecchio LED in circolazione con un apparecchio mediocre con lampada a scarica).
In base a queste considerazioni, viene definito rendimento globale di un apparecchio di illuminazione:
Un apparecchio tradizionale che monta una lampada SAP di ultima generazione a 100W (di flusso luminoso pari a 10700lm), con alimentatore elettronico di rendimento pari a 0,93 e DLor pari al 80% (consideriamo fra i migliori apparecchi in circolazione) avrà un rendimento globale di:
η = 10700*80%/108 = 79 lm/W
Prendendo invece i dati di una famosa ditta produttrice di apparecchi LED abbiamo che un apparecchio che monta 100 LED alimentati a 350mA produce un flusso luminoso pari a 10000lm ed un consumo di 127W. Dagli eulumdat si può leggere un DLor pari a 85,7% (apparecchio con ottiche applicate). In questo modo abbiamo:
η = 10000*85,7%/127 = 67 lm/W
Per un altro apparecchio illuminante a LED abbiamo invece 84 LED alimentati a 350mA, che producono un flusso luminoso di 6417lm con un consumo di 110W In questo caso abbiamo un DLor pari al 100% (apparecchio senza ottiche applicate). Il rendimento risulta quindi:
η = 6417*100%/110 = 58 lm/W
In base a queste considerazioni è possibile affermare che il rendimento di un apparecchio illuminante a LED rimane leggermente al di sotto di un apparecchio tradizionale a scarica; le cose migliorano per potenze di lampada inferiore (l’efficienza di una lampada SAP a 70W è inferiore a quella di una lampada a 100W) ma ovviamente peggiorano per potenze superiori. Il rendimento ovviamente non ci dice nulla su come si comporterà un apparecchio in una determinata installazione (questo dipende dal tipo di fotometria, come indicato sopra); è possibile però affermare che a parità di costruzione della fotometria, un apparecchio con rendimento maggiore fornirà risultati migliori.
Questo significa che tutto si gioca nelle caratteristiche distintive di ogni apparecchio e quindi la qualità dell’illuminazione non può assolutamente essere determinata solo dalle caratteristiche della sorgente luminosa, ma va accuratamente valutata in base all’apparecchio illuminante nel suo complesso.
S.V.B.E.E.Q.V.
Matteo Seraceni
Leggi anche:
Illuminazione stradale a LED – 1^ parte
Illuminazione stradale a LED – 3^ parte
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