Luce e follia (Cieli bui e UNI 11248)

Ottobre sarà ricordato – fra le altre cose – come il mese della legge di stabilità e del decreto “Cieli bui” che già ha infervorato le piazze e i maggiori talk-show italiani.
Pochi però sanno che, nello stesso momento in cui si parlava di ridurre o addirittura spegnere le luci nelle città per risparmiare qualche euro, veniva dato alle stampe l’aggiornamento della norma sull’illuminazione stradale (UNI 11248:2012) che fa da contraltare alle intenzioni del Governo e prescrive illuminazioni più alte di circa il 50% rispetto alla versione precedente.

Devo ammettere di aver sempre apprezzato il teatro dell’assurdo e, proprio in questi giorni, stavo pensando se l’inutilità dei nostri politici e – di rimando – delle istituzioni ad essi legate, non fosse in qualche modo un sottile stratagemma per trasformarci tutti in “rinoceronti” (tanto per citare un’opera a tema): e appunto, come nel testo di Ionesco, mi domandavo se anziché ostinarmi a rifiutare il qualunquismo imperante dovrei invece uniformarmi alla massa.
Purtroppo, anche in questo frangente, mi sento solo: c’è qualcun altro che pensa che questa sia pura follia?

Certo, lo so, viviamo nello stato delle banane.
Che colpo di teatro! Viene approvato un decreto che spegne le luci perché ormai i Comuni sono in braghe di tela e di contro esce una norma (quasi in contemporanea) che innalza la quantità di luce richiesta. Ovvero: ci sarà più luce di notte, ma per meno tempo. Poi tutti al buio.
E quindi il risparmio prospettato dal Governo viene nullificato sul nascere da una norma voluta da un’emanazione del Governo stesso.

Ma andiamo con ordine.

1) Cieli bui (?)

Facciamo chiarezza da subito: nessuno ancora ha visto il testo ufficiale del Decreto e quindi tutto ciò che si è detto fino ad oggi è pura masturbazione mentale.
Anche in questo caso sarebbe stato apprezzabile se i giornali avvessero avuto l’onestà intellettuale di porre la questione su di un piano speculativo, anziché sbattere in prima pagina titoli più o meno minacciosi del tipo: “Monti ci vuole lasciare al buio” (Il Giornale dell’ 11 ottobre. Articolo che tra l’altro si apre con la citazione felliniana “adesso c’è soltanto il sentimento di un buio in cui stiamo sprofondando” … mamma mia!).

Cielobuio è l’associazione che ha promosso l’iniziativa “Cieli bui”

Facciamo un passo indietro: l’illuminazione pubblica è una voce di spesa molto onerosa per i Comuni. Per questo motivo si dovrebbero progettare impianti che facciano la giusta luce (senza strafare) consumando meno energia possibile.
Ma il problema non è soltanto per i nuovi impianti. Chiunque si occupa di illuminazione sa che il sistema più semplice ed immediato per consumare di meno è quello di inserire qualche tipo di regolazione che consenta, nelle ore notturne in cui c’è meno affollamento nelle città, di ridurre il flusso luminoso degli apparecchi e quindi la potenza impegnata. Molte Leggi Regionali impongono questa regolazione.
Verrebbe da chiedersi perché ad oggi – nonostante la convenienza (e l’obbligatorietà) di questi interventi – i Comuni, anziché finanziare l’ennesima sagra della porchetta, non abbiano provveduto a migliorare i propri impianti. Verrebbe anche da chiedersi perché pochissimi Comuni si siano dotati di un piano energetico o comunque di un piano dell’illuminazione (anche questo obbligatorio per molte Regioni) che avrebbe garantito una pianificazione degli interventi e dei risparmi.
Se non si fa niente di tutto questo, appare più che evidente che l’unico modo di fare del risparmio subito è spegnere gli impianti.

Già alla luce di queste considerazioni la bozza di decreto appare in maniera diversa:

1. Per finalità di contenimento della spesa pubblica, di risparmio di risorse energetiche, nonché di razionalizzazione ed ammodernamento delle fonti di illuminazione in ambienti pubblici, con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture, nonché con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro . giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti standard tecnici di tali fonti di illuminazione e misure di moderazione del loro utilizzo fra i quali, in particolare:

a) spegnimento dell’illuminazione ovvero suo affievolimento, anche automatico, attraverso appositi dispositivi, durante tutte o parte delle ore notturne;

b) individuazione della rete viaria ovvero delle aree, urbane o extraurbane, o anche solo di loro porzioni, nelle quali sono adottate le misure dello spegnimento o dell’affievolimento dell’illuminazione, anche combinate fra loro;

c) individuazione dei tratti di rete viaria o di ambiente, urbano ed extraurbano, ovvero di specifici luoghi ed archi temporali, nei quali, invece, non trovano applicazione le misure sub b);

d) individuazione delle modalità di ammodernamento degli impianti o dispositivi di illuminazione, in modo da convergere, progressivamente e con sostituzioni tecnologiche, verso obiettivi di maggiore efficienza energetica dei diversi dispositivi di illuminazione.

2. Gli enti locali adeguano i loro ordinamenti sulla base delle disposizioni contenute nel decreto di cui al comma 1. Le medesime disposizioni valgono in ogni caso come principi di coordinamento della finanza pubblica nei riguardi delle regioni, che provvedono ad adeguarvisi secondo i rispettivi ordinamenti.

Al di là di qualche “tecnicismo” è chiaro che il testo non dice assolutamente nulla e gli indirizzi di risparmio (affievolimento o spegnimento) sono metodologie che esistono fin dalla preistoria dell’illuminazione, come giustamente ha già fatto notare Giacomo Rossi nel suo blog.
Rimango pertanto stupito dal “caso mediatico” sollevato da “Cieli bui” … ma tutto va bene pur di non parlare dell’aumento delle tasse o dei soliti privilegi di alcuni italiani più uguali degli altri.
Detto questo, vorrei comunque fare alcune considerazioni:

  1. Perché viene preso di mira sempre il “punto finale” di consumo e nessuno parla del fatto che il prezzo dell’energia per l’illuminazione pubblica, in un anno, è aumentato di circa il 35%? Per quale motivo dobbiamo pagare noi per gli errori e l’incapacità dei fornitori di energia italiani? Perché non abbiamo un mercato veramente libero dell’energia e invece siamo sotto il giogo di un oligopolio imperante di persone che fanno il bello e il cattivo tempo in questo campo da circa 60 anni?
  2. Per quale motivo i sistemi di riduzione del flusso non vengono adottati come standard e, ancora oggi, occore richiedere accessori dedicati come pezzi “speciali”? Come dicevo prima, non solo questi sistemi spesso non vengono neppure presi in considerazione, ma il pensiero comune è quello di “illuminare il più possibile”, anche quando assolutamente non necessario: da un lato ci  sono progettisti incapaci che, per stare dalla parte dei bottoni, esagerano e dall’altro ci sono Amministratori che vedono gli impianti di illuminazione come merce di scambio per accrescere il loro prestigio o per raccogliere voti. Non mancano nemmeno quelli che gridano alla “maggiore sicurezza”, come se qualche lampione in più potesse far rinsavire gli ubriachi che si schiantano il sabato sera.
  3. Non so se voi ve ne siete accorti, ma siamo in piena recessione. Per quale motivo esistono sterminate lottizzazioni abitative o industriali abbandonate ma con lui accese per tutta la notte (vedi punto 2)? In questo caso lo spegimento non dovrebbe essere un obbligo, ma un dovere. Allo stesso modo mi chiedo per quale motivo chiese orrende (non parlo di Borromini, ma della chiesa in cemento di Roncofritto) rimangono illuminate per tutta la notte consumando energia pubblica (quando nemmeno pagano l’ICI). Ma questo dicorso vale per tante altre situazioni: se non c’è nessuno in quei luoghi, perché illuminare?
  4. In relazione al punto 3, mi rendo però conto che dar carta bianca ai Comuni nei riguardi degli spegnimenti significa mettere in mano una pistola a un adolescente problematico: il rischio è quello che, nel solco dell’indolenza tipica dei Comuni, lo spegnimento divenga una maniera facile per controllare i consumi e quindi, anziché la via lunga e tortuosa del piano della luce e del progetto di riqualificazione, venga scelta la via molto più breve del “tutto spento”. Non è pensabile di “spegnere” una città. Oppure, se questa è veramente l’intenzione, chiudiamo tutti baracca e ci mettiamo a vendere gelati.
  5. Il problema dei problemi: a chi sarà dato il compito di individuare le aree da affievolire o spegnere? Chi individua le tecnologie da adottare per ottenere maggiore efficienza? Come fa un Comune con un ufficio tecnico composto da un geometra e da un perito, che si occupano di problemi che spaziano dalle fognature alle costruzioni in zona sismica, a occuparsi non solo di illuminotecnica ma di pianificazione urbana? Ovvero, come fa un Comune – senza soldi per il patto di stabilità – a stanziare fondi per uno studio sull’efficientamento dei propri impianti? Il modo migliore di risparmiare è quello di pianificare gli interventi: purtroppo in Italia non è mai esistita una cultura urbanistica e di pianificazione, ed oggi ne stiamo pagando le conseguenze. Il risultato è quello prospettato al punto 4.

Non c’è quindi alcuna speranza?
Per fortuna abbiamo delle norme che possono mettere un freno a tutto questo spreco, vero?

2) Gerontocrazia al potere

Mia nonna, che ormai ha la sua bella età (anche se gli anni li porta molto bene), ormai ha qualche problema alla vista.
Non mi sorprende quindi che la nuova UNI 11248-2012, coordinata da un ultraottantenne, aumenti di circa il 50% la luce richiesta rispetto alla versione precedente.Sapete, io ero presente a una delle riunioni riguardanti l’aggiornamento della norma.
E sono rimasto affascinato dalla scelta effettuata dall’UNI per i coordinatori: uno di questi ha ammesso candidamente di “non aver mai progettato un impianto stradale” in vita sua. Un altro vegliardo, a cui veniva fatto presente che la CIE 191:2010 smentisce clamorosamente la pretesa di riduzione di una classe illuminotecnica per luce bianca, continuava a far vedere il diagramma di visibilità, come se c’entrasse qualcosa.

Per chi non ne sapesse nulla, riassumo la questione: la vecchia norma (UNI 11248:2007) riportava una tabella con indicate le “classi di riferimento” per ogni tipo di strada presente sul territorio nazionale. Questa categoria di riferimento doveva essere trasformata in “categoria di progetto” attraverso un’analisi dei rischi che poteva aumentare o diminuire le categorie.
Nella nuova norma l’analisi dei rischi è fatta solo “a scalare” (quindi la “categoria di progetto” non può essere aumentata, solo diminuita rispetto alla “categoria di ingresso” che prende il posto della “categoria di riferimento”). Fatto sta che la nuova norma definisce tutte le strade come “complesse” visivamente e presenta una “categoria di ingresso” superiore rispetto alla vecchia “categoria di riferimento”.
In pratica, quella che era una categoria ME4b (che richiede 0,75 cd/mq) nella vecchia norma è stata trasformata in una categoria ME3b nella nuova (che richiede 1,00 cd/mq).

La vecchia procedura per l’identificazione delle categorie di progetto e esercizio

La motivazione ufficiale è quella di “obbligare i progettisti a svolgere l’analisi dei rischi”: ovvero, o fai l’analisi o sei costretto a consumare di più. Però quanti progettisti (che ora appunto dovranno sottoscrivere a chiare lettere l’analisi dei rischi) secondo voi si prenderanno la briga di metterci la faccia e la carriera per declassificare una strada? Perché a parole siamo tutti splendidi, ma sappiamo benissimo che questo è anche il paese dei tribunali e delle cause perse e quindi il primo pirla che si schianta contro un palo è pronto a denunciare chiunque pur di non perdere punti sulla patente perché ubriaco. Io conosco più progettisti che alzano la categoria per sentirsi più sicuri piuttosto di progettisti che la abbassano.
Inoltre (ma forse sono io a essere in malafede) non è strano che una norma scritta da affiliati a una famosa associazione che raggruppa progettisti e produttori di corpi illuminanti sembra favorire proprio questi ultimi? In fin dei conti l’unico a guadagnarci è il venditore, perché con luminanze e uniformità superiori si è costretti ad installare molti più apparecchi.
Perché queste norme non vengono scritte (come tutte le restanti norme UNI) da gruppi di professionisti indipendenti?
Perché la norma italiana, anziché seguire la prUNI 13201-1, ha preso una strada diversa da tutti gli altri? Perché dobbiamo sempre essere “speciali”?

3) Più luce, meno luce

Eccoci quindi al paradosso: da una parte abbiamo un decreto che dice di risparmiare, usare “meno luce” e dall’altra abbiamo una norma che impone – in pratica – “più luce”.

Ho un sogno.
Sogno un paese in cui un Comune che vuole risparmiare energia chiede a uno staff di professionisti di ridefinire le priorità del territorio e non si accontenti di spegnere gli impianti fino a che non si sia raggiunto il “numero giusto”.
Sogno un paese in cui lo sforzo congiunto di Amministratori, pianificatori e progettisti possa stabilire le giuste strategie di efficienza, senza ricorrere a sedicenti “esperti” (che forse sono esperti di profitto ma di sicuro non di risparmio).
Sogno un paese in cui gli impianti di illuminazione siano progettati da progettisti illuminotecnici, non da elettricisti, da produttori o peggio da cantinari.

Ma la dura realtà è che siamo un paese di ignoranti supponenti e, di questo passo, andiamo sempre di più verso il baratro.
La ricetta contro la crisi è più semplice di quello che si pensa: anziché sotterfugi o norme ad hoc per i soliti noti, basterebbe applicare del buon senso e i regolamenti concordati a livello europeo.

Una buona progettazione (o riprogettazione) può garantire risparmi elevati e la messa a norma dell’impianto agli stessi costi degli spegnimenti + aumenti dell’illuminazione.

4) Una buona notizia

Vorrei chiudere in stile “Report” per parlare di una bella iniziativa: “Shine a Light on Lighting Design”.
E’ un sondaggio anonimo, promosso da un gruppo di studio autonomo (Chiara Carucci, Elena Pedrotti, Roberto Corradini e Marco Palandella) che si propone di monitorare e comprendere qual è la situazione professionale dei progettisti di illuminazione in Italia, conoscerne il punto di vista e avere uno specchio fedele della realtà professionale.
Sarà possibile accedere al sondaggio dal 15 ottobre al 25 novembre 2012. Terminata l’indagine, i dati ricevuti verranno analizzati statisticamente, i risultati complessivi saranno diffusi attraverso riviste specializzate.

L’iniziativa mi piace perché è un buon punto di partenza per capire la situazione dei professionisti dell’illuminazione italiana.
Spero che i promotori non si fermino alla sola pubblicazione delle risposte, ma si spingano anche a un’analisi approfondita del tema, soprattutto per quel che riguarda lo stato delle giovani leve del settore, perché ci sono ancora corporazioni che fanno di tutto per difendere i propri interessi.
E la cosa peggiore è che quelli che ci vanno di mezzo sono sempre i giovani: sottopagati, schiavizzati e senza nemmeno due soldi per fare un mutuo e mettere su famiglia.
Mi piacerebbe vedere le testimonianze reali di tanti giovani pagati due lire per far prosperare i grandi studi che si possono permettere ribassi inverosimili nelle gare oppure mi piacerebbe vedere un’inchiesta sulle associazioni, che dovrebbero fare l’interesse dei professionisti ma in realtà sono sponsorizzate dai produttori.

Ma questa, forse, è un’altra storia …

S.V.B.E.E.Q.V.

Matteo Seraceni

“Mi raccomando: questa volta cattivi, eh?”


37 comments

  1. Ciao Matteo!
    Finalemente un articolo che ci voleva e che io stesso stavo rimuginando da diverso tempo.
    Ribadisco un punto che tu hai ben sottolineato, ovvero la questione dell’analisi dei rischi.
    Bene, nel 90% dei casi il “progetto” (chiamiamolo così per semplicità) di illuminazione per una strada viene fatto all’interno degli uffici delle aziende, perchè ovviamente il malcostume locale porta a pensare che spendere un po’ di soldi per la parcella di un professionista sia alla fin dei conti una spesa inutile…tanto c’è qualcuno che lo fa gratis, no? Dimenticando però di fatto il conflitto di interessi che si viene a generare: progettista=fornitore=corpi illuminanti anche dove non servono.
    Ma il punto è un altro, vorrei sapere quanti uffici di “progettazione” interni alle aziende si prendono la responsabilità di declassare la categoria di “ingresso”, con una bella analisi di rischio, volete una risposta?
    Nessuno! Nella stragrande maggioranza dei casi tutto viene fatto (per comodità o per qualsiasi altro motivo) con la prima classe a portata di mano, magari taroccando pure gli output di calcolo.
    Che schifo!

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    1. Ciao Giacomo.
      Mi hai sorpreso: finalmente tu ti sei liberato dei freni e hai centrato il punto!
      Siamo un paese dove non esistono calcoli e progetti, ma solo dati taroccati e sotterfugi. Per farti un esempio (fra i tanti): dopo aver presentato il mio sistema di classificazione energetica dei corpi illuminanti a un commerciale di un noto produttore, questo mi rivolge la seguente domanda “Così però come facciamo a modificare i dati? Perché se viene fuori che il mio apparecchio è scarso, cosa succede?”. Niente: non lo vendi più e ti metti a lavorare come fanno tanti altri, anziché importare dalla Cina!
      E le norme in Italia vengono costruite sempre e costantemente su misura per questi signori! Credo che tutti abbiano visto la prEN 13201-1 (si trova praticamente ovunque su internet): è chiarissima. Perché invece noi, invece, abbiamo diciture inutili e devianti, come “complessità del campo visivo” (cos’è? come si calcola?) o “segnaletica cospicua” (ovvero, quanti segnali a metro? se c’è quella orizzontale e quella verticale? boh?).
      E poi il mitico “assenza di pericolo di aggressione” … ma chi lo decide questo? Mi state dicendo che io, progettista illuminotecnico, cosa devo fare? Devo chiedere ai carabinieri se lì c’è pericolo? Se in passato sono avvenuti atti violenti? Faccio un sondaggio fra i cittadini? Se l’area è “degradata”?
      Diciamolo: mancano i controlli, manca chi controlla o comunque chi lo dovrebbe fare non ha la giusta preparazione, mancano i progettisti, mancano i soldi (o almeno, mancano i soldi per gli investimenti intelligenti, per il SUV del Batman i soldi invece ci sono sempre) e le associazioni continuano a gingillarsi gli amenicoli.

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    2. Ciao Giacomo,
      Concordo in parte con quanto hai detto in merito al progetto.. è si uso e costume affidarsi alle aziende che svolgono normalmente un servizio di CONSULENZA al progetto ( nessuno ti firma un progetto illuminotecnico da un’azienda ) per lasciare poi la responsabilità al progettista ( che come ben noto preferisce intascarsi la parcella del lavoro fatto da un terzo in modo gratuito e spacciarla per propria. ). Purtroppo sino a quando non verrà riconosciuta la figura del progettista di luce ( light designer per dirlo figo ) saremo sempre a correre dietro alla questione…
      Ti posso assicurare che, nella mia esperienza ed in qualità di progettista interno di una azienda produttrice, il risultato è il frutto di un’analisi seria, a volte fin troppo per quanto può essere richiesto da un progettista che dedica uno spazio sempre molto ristretto alla luce, sia in termini economici che progettuali.
      Capiamoci, ho volontariamente generalizzato mostrando come la cosa può essere vista anche sotto altri occhi…
      Chi ha ragione? esistono sia ditte poco serie così come progettisti poco seri… ma il problema non penso sia questo…

      Scusami l’intrusione.
      Saluti

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      1. Io ho capito le posizioni di entrambi, ma credo esistano forti contraddizioni.
        Ad esempio:
        1) Se veramente, come dici, in termini economici e progettuali un progetto illuminotecnico è un “peso” per l’azienda, perché allora le aziende non chiedono a un progettista esterno di fare per loro non solo i calcoli, ma a questo punto tutto il progetto? L’azienda guadagna tempo e risorse e ha un progetto completo. E non venitemi a dire che un’azienda che vende 100 corpi illuminanti per lottizzazione (ma anche pali e tutti il resto) non riesce a mettere da parte 2.000 euro per un progetto!
        2) Mi vuoi dire che una norma che obbliga in pratica a mettere più punti luce e di potenza maggiore può essere osteggiato da un’azienda che produce corpi illuminanti? Cioè il progettista anche dell’azienda più seria sul mercato realmente preferirebbe mettere meno punti luce e fare risparmio piuttosto che aggiungere quei 2/3 punti luce ogni 100m??
        Scusate, ma io non ritengo credibili certe posizioni.
        Perché in 50 anni e passa di mercato della luce non si è vista una (e dico una) presa di posizione da parte delle aziende nei riguardi del risparmio energetico?!? Ma vi rendete conto che esistono aziende che vendono ancora mercurio??
        A me dispiace, ma poche mele marce rendono tutto il cesto poco gradito.
        Perché allora le aziende “serie” non prendono posizione?
        Perché non leggiamo dei bei comunicati stampa del tipo “vi stanno prendendo per il culo con i LED, in realtà è così …”
        Io conosco tante aziende volenterose e tecnici che parlano chiaramente e correttamente di queste cose … però restano solo parole e buoni intenti.

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  2. Grazie Matteo! Condivido il tuo sogno al punto 3 e aggiungo, desidero un Paese in cui la “Qualità” nel progetto conti almeno quanto i fattori “Quantità” (di luce e di denaro…)

    Grazie anche per il sostegno al sondaggio sui lighting designer in Italia!
    Si.. vogliamo sapere chi siamo, quanti siamo, che peso possiamo avere… per dare un contributo, provare a contare qualcosa, oltre che contarci….

    Anche per questo, a tutti quelli che hanno idee, o feedback, chiediamo di scriverci, al termine della compilazione del sondaggio!!!

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    1. Prego.
      Credo che la vostra sia una iniziativa interessante.
      Ovviamente avete il mio appoggio (per quel poco che conta).
      Poi ci risentiamo sicuramente per commentare l’esito del sondaggio.

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  3. Salve, voglio rompere le uova nel paniere.

    Premettiamo che ritengo come minimo stupido il decreto cieli bui; bastava obbilgare al rispetto di norme e leggi e tutto veniva da solo…

    Voglio invece soffermarmi su un punto della lucida analisi di Matteo, ovvero la responsabilità del progettista.
    C’è un intera orda di professionisti della luce che si sta sgolando per ottenere un riconoscimento delle loro professionalità e competenze.
    Credo che l’intento del nuovo piano normativo sia proprio quello di mettere chi di dovere di fronte alla necessità di contattare questi professionisti, tra l’altro relatori di questa stessa norma.
    Se il progettista incaricato non ci vuole mettere la faccia e la carriera è perchè si è incaricato il progettista sbagliato!.
    Se si vuole riconoscere la figura del progettista illuminotecnico o light designer ( che fà più cool) lo stesso deve mettere in gioco la sua professionalità con un attenta progettazione ed assumendosi i suoi rischi.

    Diciamolo fuori dai denti, i proegtti di illuminazione pubblica sono nella maggior parte dei casi assegnati a figure elettrotecniche ( se si è fortunati ) o peggio, che di luce ed illuminazione; e dunque di conseguente analisi dei rischi non sanno nulla.

    L’errore non è normativo, ma culturale e politico.

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    1. Certo.
      Sono d’accordo che l’errore è prima di tutto culturale.
      Ma non credo che per sopperire a questa mancanza occorreva alzare le classi illuminotecniche, no?
      Diciamo anche che i professionisti sono stati informati fino a un certo punto: ho partecipato di persona a una riunione dell’UNI per l’aggiornamento della norma e, in quella stessa riunione, erano emersi tutti questi problemi e la tabella “incriminata” era stata cambiata.
      Poi però ecco che spunta la nuova norma con valori più alti, come se le riunioni fatte non contassero nulla … se questo è il credito che viene dato a noi progettisti, allora credo che il problema sia ANCHE normativo.
      Infine: per responsabilizzare i progettisti non serve una NORMA, serve una LEGGE, che è cosa ben diversa!

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      1. DIrei che di leggi ce ne sono già troppe, ben una per ogni regione 🙂
        E tutte impomgono il rispetto della norma.
        Una legge nazionale sarebbe auspicabile.

        Vi porto però l’esempio dei tunnel, dove un decreto legge impone la norma.
        In quel caso il progetto è un altra cosa, alla fine si collauda e se non tornano i conti sono cazzi!.

        Comprendo che per 6 lampioni nella lottizazione non debbano richiedere un impegno economico immotivato, ma almeno la documentazione da norma è il minimo.
        Ed in questo gli oneri e gli onori del progettista.
        Se poi, committente e progettista sono entrambi incompetente… il problema è politico.

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  4. Ecco, questo sarebbe un bel tema da proporre a Report…
    Non partecipo mai qui ma leggo sempre tutto e questo articolo sembra il proseguimento dell’inchiesta di ieri di Report. Si sprecano soldi per mettere ai posti decisionali gente incompetente che fa solo danni e questi sono i risultati.
    Purtroppo però per cambiare le cose si dovrebbero sradicare dai loro posti tutti i politici che ci governano ed andare noi che ci teniamo veramente ai posti di comando. Ma siamo disposti?

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  5. Salve, vorrei esprimere un’opinione trasversale, ma forse non del tutto fuori tema.
    Non vedo il problema nè nel decreto, nè nella norma, a mio avviso questi sono solo strumenti. il vero problema è la mancanza di professionalità che deriva dalla mancanza di una cultura di base.
    Quando ho cominciato a lavorare (parliamo degli anni 80) per avvicinarmi alla professione la mia azienda mi ha fatto frequentare i corsi d’illuminotecnica della AFE. Ad oggi, dopo 30 anni, non esiste ancora in Italia niente di simile.
    Al corso base, in Francia ero con installatori ed elettrici, al secondo livello partecipavano i progettisti generici ed il terzo livello, suddiviso in specializzazioni, era dedicato a chi voleva avvicinarsi alla professione della luce …….il tutto 30 anni fa, non 30 giorni.
    Ora possiamo dire che in Francia l’energia costa meno, possiamo dire quello che vogliamo ma sono 30 anni e più che fanno corsi di questi livelli in tutte le gandi città. Anche il semplice elettricista ha competenze illuminotecniche e coscienza delle problematiche illuminotecniche più alte di molti progettisti, noti, italiani.
    Certo, in Francia, il progetto ed il collaudo illuminotecnico sono pagati, e qui ci troviamo di fronte al più grosso e fondamentale scoglio che si ha nel “mestiere della luce”:
    Quanto vale il risultato in qualità della luce in un progetto? “TUTTO”
    Quanto viene pagato ad un professionista in Italia il progetto della luce ? “NIENTE”

    Altro grosso problema, e qui do ragione alla classificazione fatta da Matteo, è che nei progetti (anche in quelli tecnici), il 99,9% delle volte non viene messa come discriminante la prestazione illuminotecnica ed il risultato da ottenere; spesso la discriminate è la forma, il colore, la bellezza, il peso, il grado di protezione e chi più ne ha più ne metta……
    Cosa c’entrano queste cose con quello che deve fare un apparecchio?
    Come possono essere fondamentali dei criteri che quando l’apparecchio fa la sua funzione spariscono?
    Sarebbe come comprare dei penumatici per il loro colore e non per la tenuta di strada, bhe mi sembra che in nella strgrande maggioranza dei casi i progetti siano fatti così !!!!

    E’ vero che le aziende produttrici fanno i progetti, e qui permettetemi di spezzare una lancia, ma se sono serie danno solo un supporto tecnico alle richieste del progettista; fornendo quello che il progettista non può ovviamente conoscere, cioè come far lavorare al meglio un prodotto che, se ben fatto, è anche un pochino sofisticato.

    Per finire, e poi non rompo più, proviamo a cambiare il gioco, proviamo a trovare strade comuni, e questo avviene negli altri paesi, per influenzare le regole del gioco…. ma dal basso, provando a dare insieme un contributo per fare cultura illuminotecnica e per cercare di dare alla progettazione illuminotecnica, diginità se si avrà, a mio avviso, solo nel momento in cui a questa progettazione verrà corrisposta una adeguata contribuzione

    cordiali saluti
    Andrea

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    1. Ciao Andrea.
      Diciamo che il problema è sicuramente diffuso su più livelli.
      E’ ovvio che, in fatto di formazione, siamo forse ai livelli più bassi nel mondo, in qualsiasi campo: non a caso l’Italia è il paese dei ragionieri e dei geometri (ma anche della “terza media”) e non degli ingegneri (come appunto la Francia).
      Ma se dal “basso” la mancanza di cultura è generalizzata, pare però strano (e mi fermo a “strano”) che dall’ “alto”, chi dovrebbe decidere e dovrebbe avere le competenze per farlo, lo faccia in maniera così astrusa e disorganizzata.
      Quindi, al di là della questione monetaria (di certo non indifferente), si pone veramente un problema di metodo: se una normativa mi viene giustificata attraverso degli studi scientifici, dei resoconti di simposi internazionali, ecc. allora sono diposto ad accettarla, ma se la normativa viene decisa sulla base dei favori a certi gruppi oppure sulle tirate di culo di anizani arteriosclerotici, credo di avere tutti i diritti ad oppormi.
      Per quel che riguarda le aziende, lo sai che ho sempre cercato di distinguere fra quelle competenti e quelle che non lo sono (anche prendendomi dei nomi: http://www.linkedin.com/groupItem?view=&gid=1482047&type=member&item=118150642&qid=9a869c4f-6650-43d8-9b40-077fbb544bab&trk=group_items_see_more-0-b-ttl): se un’azienda ha tecnici capaci non vedo perché non dovrebbero presentare dei calcoli o dei progetti illuminotecnici … ovviamente c’è un abisso fra “calcolo illuminotecnico” e “progetto degli impianti”. E per questo non serve una norma, ma servirebbe una LEGGE, che definisce chi fa cosa e come la deve fare in materia di illuminazione.
      Infine, sono d’accordo di incominciare tutti dal basso, perché credo fermamente che dall’alto non arrivi nulla di buono.
      Ma non dovrebbero essere le associazioni a fare questo?
      A parte il gruppo di Light-is, che è stato l’unico a porre domande sulla nuova UNI (e che quindi menziono volentieri), gli altri o non si sono sentiti o continuano a difendere a spada tratta certi individui.
      Dobbiamo fare un’altra associazione?
      Facciamo i “lighting designer incazzati”?

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          1. Beh … io conosco una ditta molto nota il cui commerciale ha affermato che puntava soprattutto ai grossisti di materiale elettrico per la vendita dei propri apparecchi … fai tu …

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  6. Concordo in pieno, da un lato si fa l’operazione cieli bui, dall’altra si lascia raddoppiare l’illuminazione, morale, altri costi per i Comuni già messi in crisi dai tagli!!
    Tutto a vantaggio di alcune lobby!!
    Ho stimato che dal 2001 al 2012 l’illuminazione di certe strade (categoria F) è aumentata del 150%

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  7. Mi permetto di dire la mia in qualità di (piccolo) costruttore nonchè distributore italiano di un marchio da noi poco conosciuto, ma che l’amico Andrea Benussi, del quale condivido il punto di vista, conosce bene. Non c’è nulla di scandaloso, da parte di un “costruttore”, o distributore che sia, nel proporre un “CALCOLO ILLUMINOTECNICO”, sta poi nella responsabilità del “PROGETTISTA ILLUMINOTECNICO INCARICATO” non prendere tutto per oro colato ma valutare e selezionare: si, SELEZIONARE, perchè se esistono varie fasce di mercato in ogni campo, è vero che la qualità di solito si paga anche nel campo illuminotecnico (ho scritto “qualità” e non “design”, che in ambito prestazionale non ha rilievo).
    Con questo ammetto senz’altro che anche apparecchi di bassissimo costo e di origine cinese possono equivalerne altri molto più costosi e per così dire “blasonati”.
    Detto ciò, preciso che uno pochissimi sponsor della vecchia L.R. Veneto N. 22/97 è stato proprio il sottoscritto, il quale da buon naturalista dilettante, non vedeva l’ora di poter presentare i propri cataloghi di prodotti per illuminazione stradale, unici a quel tempo ad esporre chiaramente la percentuale di flusso disperso oltre i 90°, con questo sentendosi paladino di un nuovo approccio alla pubblica illuminazione, .
    Ricorderò sempre quella famosa riunione a Nove (VI) nel 1996, quando venne presentato il testo della futura Legge: sul tavolo vicino all’ingresso venivano consegnati i plichi documentali degli sponsor: i miei illustranti le prime apparecchiature stradali full cut off, quelli del secondo sponsor illustranti i suoi raffinati apparecchi sferici in vetro prismatizzato, che vennero per fortuna rimessi nello scatolone entro il quale furono ricevuti….Quelli del terzo sponsor, invece, mostravano un barbagianni imbalsamato con gli occhiali scuri, e l’immortale domanda cubitale: “CHI HA RUBATO LA VIA LATTEA?”. Come dire che in termini di faccia tosta politica insegna….
    Credetemi, di strada comunque se n’è fatta!
    Anche se certe vecchie cariatidi, purtroppo eccessivamente influenti, continuano i imporre le loro assurdità, chi per interesse politico e chi per interesse venal-professionale.
    Per buona sorte ci sono però molti giovani Operatori illuminotecnici che sanno usare il buon senso, come dimostra anche il presente forum.

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    1. Benissimo.
      Avete fatto un ottimo lavoro.
      Ma perché ora non la smettiamo con questa favola e diciamo chiaramente che non sono le 0 cd/mq oltre i 90° a fare l’inquinamento?
      L’inquinamento luminoso è dato per la maggior parte dagli impianti privati, da punti luce troppo fitti e potenze troppo elevate.
      Un apparecchio con coppa ribassata (in vetro, non prismatizzata) produce meno inquinamento di un apparecchio con vetro piano (se entrambi progettati a dovere), perché garantisce una maggiore interdistanza fra punti luce a parità di prestazione illuminotecnica e potenza assorbita. E io posso tranquillamente dimostrare questa cosa, al contrario di alcuni vecchiardi che si credono i padri dell’illuminotecnica e invece non riescono nemmeno a capire cosa significa una curva isolux …
      Gli apparecchi a vetro piano erano a quei tempi innovativi semplicemente perché erano apparecchi con ottiche “progettate” che si scontravano con apparecchi spesso e volentieri fatti “a tavolino”.
      Quindi, come dicevo prima, il lavoro è stato ottimo e soprattutto è stata una spinta non indifferente verso l’innovazione … ora cerchiamo però di parlare seriamente del problema e tirare fuori numeri e dati oggettivi.

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      1. E proprio qui vi voglio: quando gli amici Bonata, Falchi e soci, benemeriti, s’intende, hanno imposto con praticamente tutte le L.R. il valore max di 0,49 cd/Klm per tutti gli apparecchi stradali, pena l’esclusione dal mercato regionale di riferimento, come mai nessuno ha fatto alcun distinguo come il tuo?
        Ci sono apparati, definibili comunque cut-off, con vetro lenticolare o leggermente curvato, che nessuno in Europa si sognerebbe di definire “non conformi” ai fini dell’inquinamento luminoso, eppure (e mi limito alla mia regione) l’attuale LR N. 17/2009 mi impedisce di utilizzare apparati che, a prezzo di un fattore Rn pari a c.a 0.4, ci permetterebbero livelli di uniform. longitudinale veramente elevati, quindi interassi di posizionamento ben superiori a 3,7H come prescritto: sembra quasi che, in tale ambito, gli astrofili abbiano involontariamente favorito i fabbricanti, anche se non è affatto vero. Ripeto: occorre il buon senso: i numeri sono indispensabili in ambito normativo ma usati in modo inappellabile diventano dei cappi.
        Infine vorrei rilevare come si ignori sempre il fattore riflessione quale concausa dell’inquinamento, puntigliando solo sui numeri oltre i 90° e quindi creando limitazioni applicative assurde. Come dicevamo: è preferibile di gran lunga rinunciare a certi livelli di luminanza esagerati, che comportano alto inquinamento indiretto, a favore di elevate uniformità e basse luminanze. Troppa luce diretta verso l’asfalto è inutile e causa inquinamento luminoso elevato, questa è la verità. Spero che gli amici astrofili giungano a recepire tale concetto e rivedano le loro specifiche, nelle prossime eventuali revisioni normative regionali, nel senso auspicato.
        Grazie dell’ospitalità.
        Stefano

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        1. Ciao.
          Qualcuno ha fatto dei distinguo, purtroppo però pubblicando un articolo imbarazzante. Perché questa persona (considerata un “luminare” dell’illuminotecnica – ma forse anni fa, quando ancora la senilità non aveva fatto il suo corso), anziché mettere a confronto la luce dispersa verso l’alto delle soluzioni a vetro piano e a coppa, si è inerpicato in una dimostrazione inutile e contraria alle intenzioni dell’articolo.
          Non voglio fare qui nomi e non ho vissuto la vicenda in prima persona, ma se qualche volenteroso ha voglia di ripercorrere l’accaduto gli sarei grato.
          Questo per ribadire il fatto che in Italia c’è un grande vuoto. Non stupiamoci che associazioni di non professionisti, come Cielobuio siano riuscite a fare tanto: sono semplicemente stati gli UNICI a porre certe domande e a incominciare a fare chiarezza sugli aspetti tecnici dell’illuminazione.
          E gli altri, anziché ringraziare che fosse arrivata un po’ di cultura, hanno storto il naso, semplicemente perché qualcuno calpestava il loro orticello.

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      2. Concordo con Matteo, anzi giusto per mettere il dito nella piaga, il problema delle 0(zero) candele/klm sopra i 90° è un falso problema visto che lo zero non esiste e visto che tutti i corpi illuminanti, anche i più cazzuti, emettono un po’ verso l’alto…non è certo un segreto che le fotometrie grezze da camera fotometrica vengono ottimizzate lievemente per dare il contentino normativo. Ciò non toglie che oggi abbiamo corpi illuminanti molto più performanti di 15 anni fa, che di fatto si possono spingere oltre il famoso rapporto 3,7 suggerito dalla LR e se un vetro lievemente incurvato può aiutare in questo ben venga: più interdistanza=meno corpi illuminanti= risparmio energetico
        Ciao

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  8. La Lettera Aperta di Adolfo Guzzini era pubblicata sul Sole 24 mi pare di domenica 15.ottobre.
    Chi come me ha partecipato dal lontano 2000 ai Convegni e Dibattiti e dove venivano discusse le LR sull’Inquinamento Luminoso e Risparmio Energetico sà quanto le Aziende Produttrici ( tra cui la stessa Guzzini ) abbiano osteggiato tali LR per il semplice motivo che gli metteva le “mani in tasca” (tutti noi sappiamo che le tasche della maggioranza degli Imprenditori Italiani sono presidiate da voraci Pirana) costringendoli di fatto ad investire per trasformare i “Contenitori di Lampadine” vecchi di almeno 30 anni con ” Apparecchi Illuminanti” di nuova generazione ( confrontate un Catalogo qualsiasi degli anni ’90/primi 2000 con uno attuale!!! )……oggi le stesse Aziende Produttrici dovrebbero fare un Monumento a Cielo Buio ed a chi ha contribuito alla divulgazione ed applicazione di tali LR perchè è grazie a questa spinta all’investimento che permette ad alcune Aziende di esportare i loro Prodotti e soprattutto di essere pronte per compiere un ulteriore “passo avanti”…la Certificazione Energetica degli Apparecchi e degli Impianti di Illuminazione Esterna.
    Quando in occasione di un intervento che feci ad INTEL ( allora si chiamava così) e parlai della Certificazione Energetica degli Impianti di Illuminazione Pubblica mi chiesero se mi ero “fatto con roba scadente” ….forse volevano che mi rifornissi dal loro fornitore di allucinogeni!!
    Ora, come potete constatare e grazie soprattutto all’impegno di alcuni addetti ai Lavori ( soprattutto dell’amico Matteo e pochissimi altri), la Certificazione Energetica rappresenta il futuro!!
    Un abbraccio.
    Renzo

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    1. Grazie Renzo.
      Concordo in pieno: se non c’era Cielobuio probabilmente oggi in Italia avremmo ancora le coppe prismatiche ingiallite e crepate di 30 anni fa …
      Ci sono produttori che dovrebbero ringraziare la sferzata data dalle prime normative, perché è stato un modo per sollevare l’indole italiana che tende a “dormire” un po’ troppo. Oggi abbiamo apparecchi a vetro piano e che rispettano il famoso “3,7” e che possono competere con molti prodotti esteri (forse addirittura superiori).
      Vorrei ricordare che all’estero solo in questi anni è emersa l’esigenza del vetro piano per ridurre, in alcuni contesti, l’abbagliamento: in questo campo l’Italia oggi è molto più avanti di altri.
      Però non ci dobbiamo fermare a queste cose … riprendendo il discorso iniziato da Piccioli, dobbiamo continuare a migliorare e correggere le L.R.
      Correggerle nel senso di passare sopra a quelli che si sono dimostrati errori grossolani o tesi superate; migliorarle nel senso di allargare sempre di più il discorso del risparmio energetico e dell’attenzione verso l’ambiente.
      Purtroppo oggi le L.R. cominciano a soffrire anche loro di una certa “anzianità”, no?

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  9. Grazie Giacomo! Mi hai letto nel pensiero. Inutile dire (in un breve intermezzo tra uno stage sottopagato e un altro) quante fotometrie ho “taroccato” e come (per pagare l’affitto si fa questo e altro). La scusa (del produttore di turno) era che nei laboratori fotometrici non c’è mai il “buio assoluto”, certo… solo quello?
    Anni dopo, da progettista, continuo ad aprire in txt tutte le fotometrie che mi arrivano per controllare cosa mi stanno “vendendo”, ma guai a dirglielo, vorrai mica litigare col tuo capo e con il produttore e con chi gli ha dato l’autorizzazione a fare quelle fotometrie “internamente”?

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    1. Questo è un altro argomento interessante e pieno di implicazioni.
      Ho sempre ammirato gli “smanettoni” dei calcoli fotometrici e delle fotometrie … come se taroccare una fotometria rendesse l’apparecchio migliore di quello che è …
      A parte che chi si occupa di queste cose, riesce a leggere immediatamente una fotometria e a capire se c’è qualcosa che non va … in un’altra discussione ci si chiedeva se era utile un progettista in questi casi. Eccome no! Se un Comune mi chiede “quali fotometrie sono taroccate” io so rispondergli immediatamente: questo è un bel servizio che un elettricista non fa, ad esempio (e ovviamente nemmeno una ditta produttrice).
      Se un laboratorio fotometrico non è in grado di riprodurre condizioni di buio necessarie alla corretta misurazione, significa probabilmente che non è un gran laboratorio … è ovvio che esiste un rumore di fondo sempre presente, ma è qualcosa connaturata a tutti i tipi di misura che si fanno e non può alterare in maniera significativa i risultati.
      Il contentino normativo è una diretta conseguenza di una richiesta errata.

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      1. Avere la certificazione del proprio laboratorio fotometrico, purtroppo, in Italia è facilissimo. Sono ovviamente d’accordo sul rumore di fondo, è solo brutto che tanti ti “vendano” la manipolazione esagerata di una fotometria adducendo quella scusa.
        Ciononostante non interessa a nessuno… Ai comuni interessa risparmiare sull’acquisto e sulle bollette (se non hanno una municipalizzata o ESCo – e anche per questi credo sia lo stesso), ai progettisti interessa la “collaborazione” e la “disponibilità” dell’azienda e ai cittadini interessa quasi sempre solo avere “sicurezza” sotto casa e la visibilità agli incroci…
        Perciò, almeno tra di noi, inutile raccontarsi frottole… tutti potrebbero riconoscere un “tarocco” volendo, basterebbe prendersi la briga di aprirlo, ma a nessuno conviene farlo, credo.
        Mi chiedo proprio come facciano quelli di Cielo Buio a sostenere di essere competenti e contemporaneamente approvare alcuni prodotti messi in bella mostra qui:
        http://cielobuio.org/index.php?option=com_content&view=category&id=173&Itemid=107

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  10. ciao Giacomo,
    vuoi pianterla di usare l’eufemismo “corpi Illuminanti” chiamali col loro vero nome: “gnocche abbaglianti”…….lo preferisco!
    Ogni tanto bisogna anche ridere…..che palle parlare sempre di LUCE!!!
    Un abbraccio.
    Renzo

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  11. ok le leggi sono indispensabili,le norme sono utilissime,
    nessuno parla però di senso estetico. credo che dovremmo rivalutare ciò che
    anche il buon gusto ci consiglia,troppo spesso ci rivolgiamo alle matematiche dimementicando il risultato VISIVO Dell’ operato
    quante volte ci viene detto che un impianto luminoso ha provocato emozioni o solamente interesse,forse,non si esagererebbe ad illuminare un parcheggio o un incrocio o una perdonabile .
    la matematica è fondamentale ma va condivisa con l’estetica.
    oltretutto è più divertente lavorere.
    scusate lo sfogo,
    Marco

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