Illuminazione stradale a LED – 1^ parte redux

Illuminazione stradale LED____________________________________________________________________________________________________________Illuminazione stradale LED

a diverso tempo ormai si sente parlare dei “miracolosi” apparecchi di illuminazione a LED, capaci di garantire enormi risparmi e bassissima manutenzione; nella pratica però (vedi il disastroso esempio di Torraca) questi apparecchi spesso si sono dimostrati tutt’altro che efficienti.
Nonostante molti professionisti abbiano posto il problema con estrema serietà e correttezza, ancora oggi diversi produttori cercano di “fare i furbi” raccontando mezze verità, sperando che gli interlocutori non siano ferrati sull’argomento. Ad aggravare la situazione concorrono diversi organi di stampa, interessati più all’aspetto sensazionistico che produce questa nuova tecnologia anziché valutare il risultato pratico di queste applicazioni.
Per questo motivo mi sono sentito in obbligo (da addetto ai lavori quale sono) di approfondire le problematiche inerenti l’illuminazione stradale a LED: si parte dalla spiegazione di cos’è un LED fino ad arrivare alle simulazioni vere e proprie, per dimostrare come ad oggi un apparecchio a LED può al massimo sostituire un apparecchio che monta lampade al sodio alta pressione di medesima potenza.

Visto che sono stato accusato di essere contro “per principio” con questo articolo mi rivolgo a chi veramente vuole conoscere i numeri: si presenta pertanto come una riedizione dell’articolo apparso l’anno scorso ma con una maggiore attenzione ai dati e agli aspetti tecnici.

1. La tecnologia LED

LED è l’acronimo di Light Emitting Diode (diodo ad emissione luminosa) ed è stato sviluppato nel 1962 da Nick Holonyak Jr. Un diodo è il più semplice tipo di semiconduttore esistente: senza entrare troppo nello specifico, un semiconduttore è un materiale capace di far passare o meno elettricità in base alle caratteristiche del materiale da cui è composto.
Il LED è un semiconduttore creato da materiale poco conduttore (generalmente un composto di alluminium-gallium-arsenide), in seguito modificato (“dopato” nel gergo elettronico) per cambiare il bilanciamento interno tra le cariche positive e negative (da cui dipende la conduttività). La regione con cariche positive aggiunte è detta P-region mentre quella con cariche negative (costituite da elettroni) è detta N-region.
Quando nel diodo (o chip) non è applicato alcun voltaggio, gli elettroni di carica negativa trovano e riempiono i buchi (con carica positiva) nella zona di contatto, formando una giunzione detta anche depletion zone. In questa giunzione, tutti i buchi risultano riempiti e quindi formano una specie di barriera isolante in cui nessuna carica può circolare da una regione all’altra.

La giunzione all'interno di un diodo LED
Le cariche negative e quelle positive che vengono a contatto nella giunzione tra la P-region e la N-region e formano una zona in cui nessun elettrone riesce più a passare

Per eliminare la giunzione, bisogna far si che le cariche negative passino dalla regione N alla regione P e le cariche positive facciano l’inverso, connettendo ad esempio una batteria che, aumentano il potenziale elettrico, faccia muovere le cariche.

Movimento delle cariche
Una batteria collegata opportunamente ad un Led fa si che le cariche negative nella depletion zone si liberino e di fatto annullano la barriera tra le due regioni

Per capire cosa siano le cariche positive e negative di cui ho parlato sopra e di come queste possano produrre luce, occorre fare una breve digressione sull’atomo: la maggioranza degli atomi è composta da un nucleo (di protoni e neutroni) attorno cui si posizionano “nuvole” (orbitali più precisamente) di elettroni; su ogni orbitale, per il principio di esclusione di Pauli, si possono posizionare solo 2 elettroni. Generalmente un atomo ha un perfetto bilanciamento fra cariche positive e cariche negative.
Quando il materiale da cui è composto il semiconduttore viene drogato, uno degli elettroni degli orbitali più esterni viene a mancare, in maniera da creare una “lacuna” (e quindi anzichè neutro ora diviene positivo). L’atomo “drogato” è più instabile (e quindi ha maggiore energia); quando un elettrone riempie la “lacuna” l’atomo ridiventa stabile (e quindi a minore energia): il surplus di energia viene liberato sotto forma di fotone (cioè un pacchetto di energia che rappresenta la singola unità di luce).

Emissione di un fotone
Quando la carica negativa raggiunge quella positiva libera un fotone

In pratica un LED trasforma l’energia elettrica in energia luminosa (e viceversa).

Per quanto possa essere difficile comprendere il funzionamento del LED dal punto di vista fisico, questa descrizione è fondamentale per capire i pregi e (soprattutto) i difetti di questa tecnologia: ad esempio il superamento forzato della “barriera” neutra costituita dalla giunzione comporta un notevole surriscaldamento di questa zona (è una specie di “resistenza” all’interno del semiconduttore) e pertanto la “temperatura di giunzione” rappresenta un parametro fondamentale per la corretta gestione del LED.

I grandi produttori hanno dichiarato che nei prossimi anni investiranno gran parte dei loro capitali nello sviluppo delle apparecchiature a LED. Questa tecnologia rappresenta sicuramente il futuro dell’illuminazione in quanto garantisce numerosi vantaggi:

  • diminuzione della quantità di “materia” utilizzata per la loro produzione; rispetto ai prodotti tradizionali comporta quindi una riduzione degli ingombri e dei pesi, determinando una agevolazione nell’approvvigionamento, stoccaggio e trasporto dei materiali e nella produzione industriale;
  • ridotto contenuto di sostanze tossiche o nocive; le parti componenti dei LED sono facilmente disaggregabili, smaltibili e riciclabili (allo stesso livello dei normali diodi che si utilizzano in elettronica);
  • ridotta emissione di raggi UV ed IR;
  • lunga durata della vita media;
  • tecnologia in costante evoluzione.

Allo stato attuale esistono già buoni apparecchi di illuminazione a LED per gli ambiti ciclo-pedonali, illuminazione d’accento ed illuminazione artistica e di parchi.
Per quanto riguarda invece l’illuminazione stradale occorre sottolineare che questo è un ambito estremamente tecnico e richiede apparecchi molto performanti: generlamente oggi gli apparecchi a LED non riescono ad essere così performanti come i tradizionali apparecchi al sodio (soprattutto per quanto riguarda le potenze elevate), come verrà indicato nei paragrafi seguenti. Questo non significa che i LED non saranno mai così performanti come le lampade tradizionali: la tecnologia a LED si sta sviluppando in maniera incredibile (basti pensare che neanche 5 anni fa a stento si arrivava ai 50 lm/W) e per questo motivo è molto probabile che nei prossimi 10 anni gli apparecchi stradali con questa tecnologia sorpassino come prestazioni gli apparecchi tradizionali.
L’articolo va pertanto letto unicamente alla luce dello stato attuale della tecnologia a LED e non come negazione assoluta dell’applicazione di tale tecnologia all’illuminazione pubblica: la tecnologia LED ad oggi risulta BNAT (Best Not yet Avaiable Technology), cioè si pensa che sarà la migliore tecnologia in futuro disponibile per la pubblica illuminazione.

2. Caratteristiche dei LED

La lampada è una componente fondamentale di un apparecchio luminoso; per questo motivo occorre conoscere a fondo i parametri principali su cui basare le valutazioni delle lampade LED utilizzate.
Nell’illuminazione stradale generalmente oggi vengono utilizzati i cosiddetti “LED di potenza” (Power LED in inglese); la relazione seguente si basa quindi prevalentemente su questa tipologia di diodi LED (pur potendo essere estesa facilmente ad altre tipologie, come quelle multichip ad esempio).

2.1 Corrente di pilotaggio

I LED vengono pilotati con una corrente costante, per mantenere uniformi i valori di luminosità e temperatura colore; la corrente di pilotaggio ha infatti una diretta correlazione con diversi parametri, come il flusso luminoso emesso e la tensione all’interno del diodo (a livello intuitivo questo lo si può comprendere pensando che ad un aumento del potenziale elettrico corrisponde un aumento di particelle cariche spostate e quindi ad un aumento di fotoni emessi).

Per i LED di potenza le correnti possono variare da 100 mA a 1500 mA, con un valore tipico di 350 mA. Per valutare la potenza di funzionamento del singolo diodo occorre quindi moltiplicare la corrente per la tensione applicata, secondo la legge di Ohm: P = V * I.
La tensione applicata varia in base alla corrente secondo un grafico come quello seguente:

Grafico corrente-tensione per le ultime tipologie di power-LED

In questo caso si può vedere ad esempio come ad una corrente di 350 mA corrisponda un voltaggio di 3,2 V per un LED bianco e quindi una potenza assorbita di 1,12 W; per una corrente di 700 mA corrisponde un voltaggio di 3,4 V e quindi una potenza assorbita di 2,38 W. In realtà non è quindi vero quello che generalmente si vede stampato nelle caratteristiche delle sorgenti a LED e cioè che ogni singolo diodo assorba 1 W.

2.2 Flusso luminoso

Abbiamo visto che aumentare la corrente di pilotaggio significa aumentare il flusso luminoso emesso da un diodo LED: per questo motivo i produttori indicano il flusso luminoso emesso relativo ad una corrente di riferimento (generalmente pari a 350 mA); inoltre questo flusso è relativo ad una temperatura di giunzione di laboratorio pari a 25°C.
La variazione di temperatura di giunzione (descritta nel paragrafo successivo) e di corrente di pilotaggio comporta una notevole differenza nel flusso emesso.
Ad esempio, per lo stesso diodo LED visto sopra, abbiamo questo rapporto fra flusso emesso e temperatura di giunzione:

Grafico flusso luminoso - temperatura di giunzione
Grafico flusso luminoso – temperatura di giunzione per le ultime tipologie di power-LED

Il produttore indica per 350 mA e Tj=25°C un flusso luminoso pari a 114 lm.
Per temperature di giunzione che si aggirano attorno ai 70°C, vediamo che già il flusso si riduce del 10% circa e quindi si ottiene un flusso di circa 102 lm.

Il rapporto fra corrente di pilotaggio e flusso emesso è invece il seguente:

Grafico corrente di pilotaggio – flusso emesso per le ultime tipologie di power-LED

In questo caso si vede come a 350 mA il flusso rimanga invariato (e quindi, per una temperatura di giunzione Tj=70°C, un flusso di 102 lm); a 700 mA invece abbiamo un aumento del 170% circa (e quindi, sempre per una temperatura di giunzione Tj=70°C, un flusso di 173 lm).

A questo punto siamo quindi in grado di valutare l’efficienza luminosa nel due casi:

  • per I=350mA, Tj=70°C, abbiamo h=91 lm/W
  • per I=700mA, Tj=70°C, abbiamo h=73 lm/W

Per questo motivo è generalmente controindicato aumentare la corrente di pilotaggio al fine di aumentare il flusso luminoso (poiché alla perdita di efficienza si somma anche una diminuzione dell’aspettativa di vita del diodo LED, come vedremo in seguito).

2.3 Temperatura di giunzione

La temperatura di giunzione (indicata come Tj) risulta essere un parametro fondamentale per determinare il buon funzionamento di un LED.

Schema temperatura
Schema della dissipazione all’interno di un diodo LED

Con questo termine viene indicata la temperatura della giunzione che costituisce il nucleo del LED; la temperatura massima è determinata dal produttore del dispositivo in modo da porre un limite invalicabile per una vita operativa ragionevole del componente.
Questa temperatura è strettamente collegata al flusso luminoso emesso e alla durata: maggiore è la temperatura, maggiore la riduzione del flusso luminoso e minore la durata della sorgente LED.
Un diodo LED deve pertanto poter resistere alle alte temperature e i dispositivi di dissipazione a corredo devono essere dimensionati con cura.
Ad oggi non è possibile misurarla direttamente e le indicazioni dei vari produttori si riferiscono quindi a formule sperimentali che cercano per quanto possibile di riprodurre il comportamento della giunzione; senza entrare troppo nello specifico è facile capire che una misura non diretta può portare facilmente ad errori sperimentali, che si accumulano fino a rendere molto incerto il risultato finale. I dati inoltre si riferiscono a misure fatte in laboratorio, in condizioni al contorno stabili, che non tengono conto delle reali oscillazioni nei valori di temperatura e corrente presenti in un impianto reale.
Un dato di massima per definire la temperatura di giunzione può essere fornito della temperatura della piastra su cui il LED è saldato, poiché appare ovvio che la temperatura di giunzione sarà comunque superiore ad essa. Nelle installazioni su strada, in base a queste evidenze sperimentali, si registrano temperature di giunzione costantemente sopra i valori indicati dai produttori.
In definitiva risulta fondamentale l’apparato dissipativo posto a corredo dell’apparecchio di illuminazione: l’indicazione generale è quella di non considerare i dati forniti dal produttore come definitivi e di verificare con attenzione il metodo utilizzato nelle saldature dei diodi e la superficie e il materiale dei dispositivi di dissipazione.

2.4 Vita utile del LED

Per le sorgenti tradizionali storicamente si intende come “vita utile” il lasso di tempo intercorso dall’accensione al momento in cui una certa percentuale di lampade smette di funzionare.

Grafico Weibull per le apparecchiature elettroniche

Il parametro di riferimento è generalmente definito da una mortalità del 10% delle sorgenti luminose (indicata dalla sigla B10); una mortalità del 50% definisce invece la cosiddetta “vita media” (indicata dalla sigla B50). Per interpolare questi dati si utilizza la variabile casuale di Weibull (vedi il grafico soprastante), che definisce una curva di sopravvivenza delle sorgenti e che viene normalmente utilizzata in ambito industriale per tutte le applicazioni elettroniche.
Le sorgenti luminose a LED invece non tendono a spegnersi improvvisamente esaurita la loro vita utile: i diodi LED nel tempo diminuiscono gradualmente il loro flusso luminoso iniziale fino ad esaurirsi completamente in un periodo molto lungo (a meno di rotture improvvise ovviamente).
Per questo motivo occorre provvedere con termini di confronto che sono del tutto diversi da quelli utilizzati oggi.
Il parametro più utilizzato nella definizione di vita utile è stato definito da un gruppo industriale produttore di Power LED, la “Alliance for Solid-State Illumination Systems and Technologies” (ASSIST), la quale ha determinato che il mantenimento del 70% del flusso iniziale corrisponde al limite inferiore al di sotto del quale l’occhio umano percepisce una riduzione della luce emessa (e quindi si può supporre che una riduzione del flusso iniziale del 30% sia accettabile per la maggioranza delle applicazioni): per questo motivo viene definita come vita utile di un LED il tempo trascorso prima che venga raggiunto questo limite (indicato generalmente come L70 che sta per “lumen maintenance 70%”).

Per definire il mantenimento del flusso luminoso nel tempo esistono diverse metodologie; ad oggi la più usata risulta quella definita dallo standard IES LM-80 – Measuring lumen maintenance of LED light sources. Il metodo si basa sulla misurazione del flusso luminoso di una sorgente LED pilotata a seconda delle correnti definite dal produttore a tre diverse temperature (55°C, 85°C ed una terza a scelta) e per un periodo di tempo non inferiore a 6000 ore (con misurazioni almeno ogni 1000 ore). Questo test non dà specifiche riguardo all’eventuale previsione di decadimento e quindi di vita utile attesa al di fuori delle ore di prove effettuate: tutto quello che si può fare è fornire quindi un’interpolazione sui dati raccolti, come indicato nel grafico seguente:

Grafico durata vita
Grafico che rappresenta l’interpolazione per il calcolo della durata di un LED

In questo caso il produttore ha definito come tempo massimo di interpolazione un tempo pari a 6 volte il tempo realmente impiegato nel test, poiché è risaputo che l’incertezza sperimentale in questo genere di interpolazioni aumenta esponenzialmente con l’aumentare del tempo previsto: questo grafico pertanto è solo un’indicazione di massima, poiché in realtà l’incertezza è estremamente elevata a 150000 h. Se pensiamo ad una media di 4200 ore di funzionamento all’anno significa fare una stima su 35 anni di vita basandosi sul funzionamento di circa 1 anno e mezzo.

Basandosi su queste evidenze sperimentali si può osservare come estremamente importanti ai fini di una buona durata del diodo LED non siano solo la temperatura di giunzione e la corrente di pilotaggio, ma anche la temperatura dell’ambiente circostante e la capacità dissipativa della piastra su cui sono saldati i LED.
Dai seguenti grafici si può osservare come l’aumento della temperatura di giunzione, della temperatura dell’ambiente circostante o l’aumento della corrente di pilotaggio porti ad una drastica riduzione della vita utile (ovviamente tutti i risultati presentati sono solo estrapolazioni dei dati sperimentali).

Grafico vita corrente
Grafico rapporto durata vita- temperatura giunzione in funzione della temperatura ambiente
Grafico rapporto durata vita- temperatura giunzione 2
Grafico rapporto durata vita- temperatura giunzione in funzione della corrente di pilotaggio

Come già detto in precedenza, a livello sperimentale risulta abbastanza complicato definire una durata attesa di oltre 100000 h sulla base di sole 6000 h di funzionamento; inoltre mancano del tutto informazioni relative alla percentuale di sorgenti a LED il cui flusso risulta al di sotto dei risultati attesti, perché se è vero che quasi nessun diodo LED nelle prove sperimentali si spegne improvvisamente, è altrettanto vero che molti di questi presenteranno un flusso luminoso al di sotto delle curve di interpolazione presentate nei grafici sovrastanti.
Per questo motivo appare meritevole l’indicazione di alcuni produttori anche della percentuale di lampade che si attestano su valori di flusso luminoso al di sotto del delta dei valori attesi per la curva considerata (in questo modo tale percentuale di fallimento sostituisce la percentuale di mortalità delle vecchie lampade).
Dai grafici sottostanti si può osservare come passare da una percentuale di fallimento del 50% ad una del 10% comporti una restrizione notevole nei valori di aspettativa di vita utile.

Grafico rapporto durata vita- temperatura giunzione 1
Grafico rapporto durata vita- temperatura giunzione con B50
Grafico rapporto durata vita- temperatura giunzione 2
Grafico rapporto durata vita- temperatura giunzione con B10

I grafici presentati sono sicuramente più completi, in quanto definiscono due diverse versioni in base alla percentuale di fallimento attesa.
Inoltre è degno di nota il fatto che le curve sono state “tagliate” a 60000 ore di effettivo utilizzo poiché a detta dello stesso produttore, anche in presenza di dati statistici significativi, è opportuno limitare la durata di vita attesa a valori comunque certi (poiché sembra logico prevedere una durata minore e poi eventualmente sbagliarsi che prevederne una maggiore e poi accorgersi che il funzionamento non è quello atteso).

Questa lunga digressione sulla durata della vita ed il mantenimento del flusso risulta fondamentale per definire un corretto coefficiente di manutenzione di un apparecchio di illuminazione a LED.
Definito infatti il coefficiente di manutenzione (secondo CIE 154:2003  – The Maintenance of outdoor lighting systems)come U = LLMF x LSF x LMF, abbiamo che il coefficiente LLMF (Lamp Lumen Maintenance Factor) rappresenta il mantenimento del flusso luminoso a fine vita della sorgente luminosa (pari pertanto a 0,70 nel caso di L70), mentre LSF (Lamp Survival Factor) rappresenta la percentuale di sorgenti sopravvissute a fine vita (pari pertanto a 0,90 nel caso di B10; in questo caso la sorgente non si spegne ed ha solo un flusso inferiore a quello stabilito, ma agli effetti del calcolo appare prudente non tenerne conto o comunque pensare alla resa delle sorgenti difettose come pari a metà di quella sana. In questo caso allora per B10 si avrebbe LSF=0,95). Il parametro LMF (Luminaire Maintenance Factor) dipende invece dallo sporco accumulatosi sull’apparecchio, dalle condizioni atmosferiche e dall’intervallo di manutenzione; per un’installazione stradale tipica può aggirarsi attorno allo 0,90 – 0,95 con intervalli di manutenzione di 2 – 3 anni.
In base a questi dati risulta che il coefficiente di manutenzione è ben lungi dallo 0,80 utilizzato normalmente nei calcoli illuminotecnici per le applicazioni stradali.

2.5 Temperatura di colore

La temperatura di colore, la cui unità di misura è il Kelvin (K), ha come riferimento l’emissione del corpo nero o la curva di Plank; ricordiamo che in fisica un corpo nero è un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente (e quindi non ne riflette) ed il cui spettro dipende unicamente dalla sua temperatura.
Lo spettro luminoso emesso da un corpo nero presenta un picco di emissione determinato, in base alla legge di Wien, esclusivamente dalla sua temperatura.

Spettro corpo nero
Spettro del corpo nero

Una sorgente reale, pur essendo abbastanza differente da un corpo nero, conserva questa proprietà e quindi in generale ad una temperatura bassa corrisponde ad un colore giallo-arancio, mentre un’alta temperatura corrisponde ad un colore azzurro.

Una sorgente a LED nasce come sorgente quasi monocromatica, il cui colore dipende dal materiale utilizzato nella sua fabbricazione; per le applicazioni stradali vengono utilizzati semiconduttori InGaN, che hanno spettro luminoso tendente al blu e che ad oggi determinano il massimo flusso luminoso possibile per un diodo LED.
Per ovviare a questo inconveniente e produrre emissioni su tutto lo spettro del visibile si ricorre alla cosiddetta “conversione della luminescenza”; questo metodo consiste nell’applicazione di uno strato di fosfori al diodo in modo da convertire parte della radiazione nelle porzioni di spettro rosso e verde mancante. La resa cromatica in questo caso viene penalizzata per la quasi assenza nello spettro emesso della componente rossa, come indicato nel paragrafo seguente.
Un metodo che produce risultati più soddisfacenti, ma che penalizza purtroppo le prestazioni del LED, è quello di applicare una combinazione di fosfori tricromatici, in modo da convertire tutta la radiazione nella banda del visibile.
In ogni modo la temperatura di colore del bianco prodotto dipende dalla quantità di fosforo usata nel rivestimento: la luce “bianca fredda” (o “cold white”) viene prodotta diminuendo la quantità di fosfori, la luce “bianca calda” (“warm white”) viene prodotta aumentandola.

Schema temperatura di colore
Schema delle varie temperature di colore

E’ facile intuire che la massima efficienza luminosa si ottiene applicando la minima quantità di fosfori possibile; in questo caso lo spettro emesso, definito “cold white” per la dominante blu (dai 6500 K circa in su), non appare molto indicato per l’illuminazione esterna per diversi motivi:

  • luce emessa fredda e con dominante bluastra
  • maggiore senso di abbagliamento
  • appiattimento dei contorni

Per ottenere sorgenti luminose con temperature di colore minori, denominate “natural white” (dai 4000 K circa ai 6000 K circa) o “warm white” (4000 K circa o meno), che determinano una migliore qualità della luce, occorre aumentare la quantità di fosfori applicati: questo fa calare drasticamente le prestazioni delle sorgenti LED e pertanto temperature di luce più calde hanno rese luminose fino al 40% inferiori.

2.6 Costanza del colore

Il procedimento di fabbricazione dei LED e di applicazione dei fosfori è un procedimento delicato e passibile di errori: per questo motivo si è scelto di suddividere le zone di appartenenza cromatica dei vari lotti prodotti in diversi settori (chiamati bin) definiti sul diagramma di cromaticità CIE 1931, sulla base di ellissi di MacAdam più o meno ampie (l’ANSI propone ad esempio un diametro di 4-step). In questo modo anziché cambiare il procedimento di produzione per ogni diversa tipologia di LED è possibile definire a posteriori l’area di omogeneità di colore.
Ovviamente il costo richiesto per diodi LED aumenta tanto più stringente si fa l’area di escursione dei bin.

Per stabilire la temperatura di colore della sorgente a LED si fa riferimento alla temperatura di colore correlata (CCT), costituita dai segmenti isotemperatura che incrociano la curva del luogo plankiano.
Ai fini dell’illuminazione stradale appare importante garantire una certa omogeneità nel colore delle sorgenti a LED, in quanto appare evidente che la forte escursione lungo la scala cromatica potrebbe generare un affaticamento nel compito visivo.

Le tabelle seguenti indicano una possibile suddivisione in bin per LED “cold white” (primo grafico) e “neutral white” e “warm white” (secondo grafico).

bin LED
Schema di BIN tipici per power LED

2.7 Indice di Resa cromatica

L’Indice di Resa Cromatica Ra (chiamato in inglese CRI, Color Rendering Index), è una valutazione qualitativa sull’aspetto cromatico degli oggetti illuminati e non va confusa con la temperatura di colore: due sorgenti con temperatura di colore identica possono avere un Ra diverso, come indicato dalla tabella seguente.
Questo parametro indica in che modo una sorgente è in grado di mantenere inalterato il colore di un oggetto da essa illuminato: varia in una scala da 0 a 100, dove 0 rappresenta il minimo e 100 indica il massimo di Resa Cromatica.
Il metodo, definito dallo standard CIE 13.3-1995, si basa sul calcolo delle differenze che una serie di campioni di colore presenta al variare dell’illuminazione della sorgente di riferimento rispetto a quella in esame: proprio per l’arbitrarietà sulla scelta dei colori presi in considerazione, questo indice rappresenta un valore abbastanza soggettivo. Può accadere infatti che sorgenti con lo stesso Ra emettano bande di colore molto diverse fra loro, oppure è possibile avere una sorgente con un elevato Ra che non abbia alcuna emissione dello spettro in diverse lunghezze d’onda (come appunto avviene per le sorgenti LED).

Spettro di emissione tipico di un LED a luce bianca
Spettro di emissione tipico di un LED a luce bianca

La migliore emissione possibile per l’occhio umano dovrebbe corrispondere ad una emissione continua lungo tutto lo spettro, senza picchi o avvallamenti.
Come si può notare dal grafico soprastante, che definisce l’emissione di una tipica sorgente a LED, lo spettro non è continuo, perché presenta un gap enorme sull’emissione del rosso; una lampada a ioduri metallici ad esempio ha uno spettro più continuo e quindi una valenza cromatica sicuramente maggiore, come si può vedere dal grafico sottostante.

Spettro di una lampada ad alogenuri metallici
Spettro di una lampada ad alogenuri metallici

Questa intuizione sperimentale viene ribadita dal rapporto CIE 177:2007, nel quale la commissione internazionale per l’illuminazione ha stabilito che il CRI non può essere applicato alle moderne sorgenti bianche a LED. Si può leggere infatti che il parametro di resa cromatica “generalmente non può venire applicato per definire un indice di classificazione di resa cromatica di una serie di sorgenti luminose in cui siano inserite sorgenti bianche a LED” e che “l’applicazione dell’indice di resa cromatica correntemente definito dalla CIE (secondo lo standard del 1995) è notevolmente limitata se riferita alle sorgenti bianche a LED. Infatti è possibile ad esempio che sorgenti storicamente ritenute con CRI elevato possano venire visualmente classificate al di sotto di sorgenti bianche a LED che in realtà avrebbero CRI minore”.
Alla luce di queste evidenze sperimentali risulta necessario riconsiderare l’indice di resa cromatica come parametro di valutazione per le sorgenti LED; in particolar modo si consiglia di seguire le seguenti raccomandazioni:

  1. il CRI può essere un parametro da tenere in considerazione se la restituzione fedele dei colori è fondamentale per il compito visivo considerato;
  2. il CRI generalmente andrebbe valutato solo tra sorgenti con la medesima temperatura colore;
  3. differenze sotto ai 5 punti di valutazione non sono significative per la distinzione di due diverse sorgenti luminose (ad esempio due sorgenti rispettivamente con CRI 80 o CRI 84 sono essenzialmente identiche);
  4. occorre valutare sempre la resa degli apparecchi a LED dal vivo e di persona.

3. Valutazioni sull’Indice di Resa Cromatica e la norma UNI 11248

In base alla nuova normativa il progettista illuminotecnico assume un’importanza fondamentale nella corretta valutazione ed individuazione delle soluzioni più opportune per ogni ambito progettuale.
La norma UNI 11248 individua le prestazioni illuminotecniche degli impianti di illuminazione e, per far questo, delinea una categoria illuminotecnica di riferimento per ogni tipologia di strade.
In base all’analisi dei rischi ed ai parametri di influenza considerati dal progettista illuminotecnico, viene quindi definita una categoria illuminotecnica di progetto, grazie alla quale verrà effettuato il progetto di massima per ogni zona di studio presa in considerazione.
Infine, in base al flusso di traffico effettivo presente nelle varie ore della giornata, è possibile definire più categorie illuminotecniche di esercizio su cui effettuare eventuali sconti di categoria.

Poiché le sorgenti a LED generalmente non presentano un’efficienza paragonabile alle sorgenti a scarica, diversi produttori cercano di colmare il divario basandosi sul prospetto 3 della norma UNI 11248, il quale afferma che sorgenti con Ra>60 possono usufruire di uno sconto di categoria nell’analisi dei rischi.
Questi valori però, come cita la norma stessa “sono forniti a titolo informativo”, cioè non hanno valore normativo e possono pertanto essere modificati o ampliati in base alle necessità riscontrate dal progettista illuminotecnico. Ogni progetto illuminotecnico rappresenta un caso a sé e quindi risulta impossibile definire “a priori” la possibilità o meno di uno sconto di categoria.

Occorre capire che non è il coefficiente di resa cromatica a definire una migliore visione notturna, ma la luce bianca (che, in via convenzionale, viene ricondotta ad un Ra>60); abbiamo già visto le problematiche insite nella valutazione dell’Indice di Resa Cromatica per una sorgente bianca a LED ed inoltre il “buco” presente attorno ai 500 nm potrebbe non garantire una capacità scotopica paragonabile ad esempio a quella delle sorgente a ioduri metallici (come indicato in seguito).
Negli ultimi anni infatti diverse università ed agenzie di ricerca hanno dimostrato che sorgenti a luce bianca possono comportare un miglioramento delle prestazioni in ambito notturno, ma solo per la visione periferica.

Riguardo a questo ultimo punto appare doveroso un ulteriore approfondimento: è noto che il CIE ha definito due curve di ponderazione, riportate nel disegno sottostante, che misurano l’efficienza visuale a varie lunghezze d’onda nel caso di luminosità diurna (curva bianca – visione fotopica) e notturna (curva nera – visione scotopica).
Dal grafico si può notare come la visione fotopica abbia un picco corrispondente alle lunghezze d’onda di una luce giallo-verde, mentre quella scotopica di una luce azzurra: lo spostamento del massimo di sensibilità, dovuto all’utilizzo prima dei coni e poi dei bastoncelli è denominato effetto Purkinije.

Curve di visibilità
Curve di visibilità

I bastoncelli, che funzionano in condizioni di bassa visibilità, vedono meglio il blu di quello che fanno i coni, i quali possono vedere luce profondamente rossa, luce che per i bastoncelli appare nera. Lo possiamo sperimentare di persona prendendo due pezzi di carta colorata rossa e blu: in condizioni di buona luminosità, risulta più luminoso il pezzo rosso, passando all’oscurità l’effetto si inverte.
A livello internazionale, è stata scelta la curva fotopica per “mediare” i valori del flusso luminoso uscente dalle singole sorgenti.
Questo però porta a due problemi: il primo è dovuto al fatto che l’illuminazione stradale si colloca in un ambito che non è né fotopico né scotopico e che viene appunto chiamato mesopico (definito generalmente dall’intervallo di luminanza compreso fra 0,001 e 3 cd/mq); il secondo, strettamente legato al primo, è quello che in tale ambito la valenza della curva di ponderazione fotopica non è del tutto esatta e vale solo per angoli di visione estremamente piccoli.
Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi sull’illuminazione mesopica, di cui alla fine dell’articolo sono forniti alcuni esempio che probabilmente confluiranno nel documento di studio denominato CIE TC1-58.
Grazie a questi studi è emerso che la sensibilità spettrale dell’occhio non cambia quando i livelli di illuminazione raggiungono l’area mesopica per angoli visuali ristretti e quindi la curva fotopica V(λ) rimane una misura valida per la visione foveale a basse luminanze . Invece, in situazioni in cui le informazioni vengono catturate anche da una visione periferica (angolo visivo di 15°-20°), i bastoncelli assumono un ruolo dominante: in questi casi una lampada con forte componente blu dello spettro luminoso apporterebbe miglioramenti alla visione periferica e quindi all’identificazione di oggetti fuori dal campo foveale, soprattutto col diminuire della luminosità.

Angoli di visione notturna
Angoli di visione notturna

I modelli di curve mesopiche proposti da questi studi e da successive modificazioni indicano un aumento relativo della luminosità percepita con sorgenti a forte componente blu dello spettro (con alto indice S/P e cioè rapporto fra ponderazione scotopica e ponderazione fotopica) per la visione periferica, così come indicato dalla tabella sottostante:

Tabella di visibilità mesoscopica
Tabella di visibilità mesopica

Questa tabella ci dice ad esempio che, per una lampada a sodio alta pressione (HPS), anzichè 1 cd/mq, in condizioni mesopiche vengono percepite 0,927 cd/mq; per una lampada a luce bianca, come quelle agli alogenuri (MH) anzichè 1cd/mq si percepiscono 1,18 cd/mq.
Ancora più evidente è una tabella in cui, in base ai vari rapporti S/P  (per una lampada ad alogenuri ed un LED indicativamente si considera S/P=2,35) vengono indicate le divergenze percentuali fra la luminanza percepita secondo il “vecchio” modello fotopico ed il nuovo “mesopico”:

Tabella di visibilità mesoscopica in percentuale
Tabella di visibilità mesopica in percentuale

Questo schema ci dice due cose:

  1. Una sorgente a luce bianca diviene fondamentale allorché ci siano precise esigenze di visione periferica (visibilità dei pedoni sul marciapiede e degli ostacoli laterali)
  2. Lo sconto di categoria proposto dalla UNI 11248 può venire proposto solo per basse luminanze (inferiori alle 0,75 cd/mq e quindi solo per strade inferiori alla categoria ME4): infatti, come si legge dal grafico, nel caso di una luminanza di 1 cd/mq di riferimento (cioè seguendo l’attuale ponderazione fotopica) abbiamo per una lampada al sodio 0,927 cd/mq (riduzione del 7%) che non giustifica l’aumento di una categoria, così come proposto dalla UNI 11248 e, ancora più importante, per una lampada a luce bianca 1,18 cd/mq (aumento del 18%) che ancora non giustifica lo sconto di categoria. Solo per una luminanza di 0,3 cd/mq abbiamo per una luce bianca 0,39 cd/mq (aumento del 30%) e quindi una giustificazione dello sconto di categoria.

Sarebbe pertanto auspicabile che la UNI 11248 venisse modificata in modo tale da prendere in considerazione questi parametri, piuttosto che fornire generiche informazioni riguardo alle possibili declassificazioni (visto che nella corrispettiva norma prEN UNI 13201:1 non vi è traccia dei parametri indicati nella tabella della UNI 11248).

Mi rendo conto che il tema è molto spinoso e pertanto risulta difficile esaurirlo in queste poche righe (cui spero di sopperire presto con un articolo dedicato): quanto detto vale unicamente come spunto di riflessione per tutti coloro che pretendono l’immediata declassificazione delle strade in qualsiasi condizione e per qualsiasi categoria illuminotecnica.

S.V.B.E.E.Q.V.

Matteo Seraceni

Leggi anche:
Illuminazione stradale a LED – 2^ parte redux

Illuminazione stradale a LED – 3^ parte

 

Riferimenti:

Normativa sistemi LED per l’illuminazione:

  • CEI EN 62031:2009 – Moduli LED per illuminazione generale – Specifiche di sicurezza
  • CEI EN 61347-2:2007 – Unità di alimentazione di lampada – Parte 2-13: Prescrizioni particolari per unità  di  alimentazione  elettroniche  alimentate  in  corrente  continua  o  in corrente alternata per moduli LED
  • UNI EN 13032-1:2005 – Luce  e  illuminazione  –  Misurazione  e  presentazione  dei  dati  fotometrici  di lampade e apparecchi di illuminazione
  • CIE 127:2007 – Measurement of LEDs
  • Draft IEC 62504 – Terms and definitions for LEDs and LED modules in general lighting
  • Draft IEC 62560 – Self-ballasted  LED-lamps  for  general  lighting  services  >50  V  –  Safety specifications
  • Draft IEC 62612 – Self-ballasted LED-lamps for general lighting services >50 V – Performance requirements
  • Draft IEC 61341 – Method  of  measurement  of  centre  beam  intensity  and  beam  angle(s)  of reflector lamps – including LED
  • IES LM – 79-08 – Electrical and Photometric Measurements of Solid-State Lighting Products
  • CIE TC2-46 – CIE/ISO standards on LED intensity measurements
  • CIE TC2-50 – Measurements of the optical properties of LED clusters and arrays
  • CIE TC2-58 – Measurements of LED radiance and illuminance
  • CIE TC2-63 – Optical measurements of high-power LEDs
  • CIE TC2-66 – Terminology of LEDs and LED assemblies

Tecnologia a LED per l’illuminazione:

  • G. Forcolini, Illuminazione LED, HOEPLI : Milano
  • AFE, LED ou lampes en éclairage public.De quoi s’agit-il?, in « Point de vue de l’AFE » numero 11 – 5 ottobre 2009
  • S. Onaygil, Ö. Güler and E. Erkin, LED TECHNOLOGIES IN ROAD LIGHTING, CIE convention in Budapest of 27-29 May 2009
  • L. Di Fraia (a cura di), Illuminazione a LED oggi: chimera o realtà?, convegno del 13 marzo 2009 all’ Università di Napoli Federico II
  • CSS Street Lighting Project, SL1/2007 – Review of the class and quality of street lighting
  • Guida di CieloBuio ai LED: 1^parte e 2^parte

Schede tecniche diodi power-LED:

Illuminazione in campo mesopico:

  • CIE, Mesopic photometry: history, special problems and pratical solutions, CIE Central Bureau CIE 81
  • Bullough, John D. and Mark S. Rea, Visual Performance Under Mesopic Conditions, TRB, National Research Council, 2004, Transportation Research Record: Journal of the Transportation Research Board
  • M. Eloholma, M. Viikari et al., Mesopic models – from brightness matching to visual performance in night-time driving: a review, Lighting Res. Technol. 37,2 (2005)
  • Y. He MS, A. Bierman MS and M. Rea PhD, A system of mesopic photometry, Lighting Res. Technol. 30,4 (1998)
  • Eloholma  M,  Halonen  L,  New  model  for  mesopic photometry  and  its  application  to  road lighting, LEUKOS 2(4):263-93
  • M. Eloholma,  J. Ketomäki,  P. Orreveteläinen  et  al., Visual  performance  in  night-time  driving conditions, Ophthal Physiol 25:1-10
  • A. Freiding, M. Eloholma, J. Ketomäki, et al., Mesopic visual efficiency I: Detection threshold measurements,  Lighting Res Technol. 39
  • H. Walkey, P. Orreveteläinen, J. Barbur, et al., Mesopic visual efficiency II: Reaction time experiments,  Lighting Res Technol. 39
  • G. Várady, A. Freiding, M. Eloholma, et al., Mesopic visual efficiency III: Discrimination threshold measurements,  Lighting Res Technol. 39
  • T Goodman, A Forbes, H Walkey, et al., Mesopic visual efficiency IV: A model with relevance to nighttime driving and other applications,  Lighting Res Technol. 39
  • CIE TC1-58 – Visual performance in the mesopic range
  • CIE TC2-65 – Photometric measurements in the mesopic range

Sicurezza dei sistemi LED:

  • G. C. Brainard , J. P. Hanifin, et al., Action spectrum for melatoninregulation in humans: evidence for a novel circadian photoreceptor, Journal of Neuroscience, 21(16).
  • G. Glickman, R. Levin, G. C. Brainard, Ocular Input for Human Melatonin Regulation: Relevance to Breast Cancer, Neuroendocrinology Letters, 23 (suppl 2)
  • E. Haus, M. Smolensky, Biological clocks and shift work: circadian dysregulation and potential long-term effects, Cancer Causes Control 17
  • K. Navara, J. Nelson, The dark side of light at night: physiological, epidemiological, and ecologicalconsequences, J. Pineal Res. 43
  • CIE TC6-55 – Photo-biological safety of LEDs

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41 comments

  1. Sono a metà uhff…volevo fare due puntualizzazioni, giusto per spaccare il capello in 4..
    Dunque, per quanto riguarda la temperatura del corpo nero, dici bene, si esprime in gradi assoluti, ma l’unità di misura è il Kelvin e non grado Kelvin, quindi è errato scrivere 5000°K ma semplicemnente 5000K.
    Poi, sempre riferendosi alla temperatura di colore, tu dici bene, quando parli della curva di Plank (black body locus) e della temperatura di colore che deriva come dici ben tu dalla relazione di wien o più in generale da E=sigma*T^4 cioè legge di Stefan Boltzmann.
    Quando si parla di led non è corretto parlare di temperatura di colore, ma temperatura correlata di colore in quanto la prima si riferisce, appunto alla curva del corpo nero, la seconda ad un’approssimazione fatta utilizzando le rette correlate di colore, che come ben saprai si usano nelle sorgenti a scarica e anche nel caso dei LED, dove a farla da padrone è la relazione di PLANK E=h*f
    cioè frequenza di emissione proporzionale all’energia di estrazione dell’elettrone dal suo orbitale.
    E’ una nota di servizio che a mio parere in un articolo così ben fatto andava apportata.
    Ciao
    Giacomo
    proseguo con la lettura

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  2. Ancora io, con ancora un appunto. Per quanto riguarda la Resa cromatica, leggevo l’altro giorno un articolo Luce e Design scritto da Palladino in cui si dibatte appunto sulla valutazione della Ra nei led.
    A quanto pare i costruttori di LED valutano il vettore di scostamento solo su colori non saturi in qauanto i risultati peggiori con i LED si ottengono viceversa sui colori saturi.
    Poi non ho capito una cosa, ma è veramente un’inezia…quando dici che una riduzione del 7% di prestazione fotopica/mesopica non è sufficiente a giustificare una riduzione di classe, ma è una tua deduzione o esistono dei limiti imposti?
    Grazie
    G.

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    1. Beh…è il famoso “schema” di analisi dei rischi della UNI 11248 fortemente voluto da tu sai chi e che impone l’aumento di classe per lampade come quelle al SAP.
      Per una classe ME4 dovrei garantire a terra 0,75 cd/mq; un peggioramento a terra del 7% significa che al massimo dovrei garantire una luminanza di 0,80 cd/mq per avere lo stesso gado di visione in ambito mesopico. Ma da qui ad arrivare a dire che devo passare ad una classe ME3 (cioè garantire 1,00 cd/mq) e quindi anzichè il 7% aumentare del 25% la luminanza a terra è puro terrorismo. Al contrario lo stesso discorso vale per le sorgenti a luce bianca.
      Se volessimo allora fare i pignoli dovremmo implementare nei software di calcolo una curva di ponderazione mesopica che in automatico riesca a calcolare l’effettivo grado di luminanza a terra: fornire “a priori” un aumento “a titolo gratuito” della luminanza del 25% o addirittura del 50% (ad esempio passando da una ME3 a una ME2) SENZA EVIDENZE TEORICHE O SPERIMENTALI A SUPPORTO DI QUESTE SCELTE è errato e deontologicamente disdicevole.

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  3. Si mi stavo riguardando il punto a cui ti riferisci… la cosa stramba è che mentre quando si parla di sorgenti con Ra>60 si da la possibilità di declassare la strada “con indice di resa dei colori maggiore o uguale a 60 si può ridurre la categoria illuminotecnica”, mentre quando si riferisce a sorgenti con Ra60 si includono le tanto care mercurio alta P. che tutto sono fuorchè sorgenti “ecocompatibili” visto la bassa efficienza e il contenuto di mercurio. e visto che teoricamente la norma è improntata sul risparmio energetico e l’ecocompatibilità….. cì è qualcosa che non torna no?
    Comunque praticamente voi di Hera come vi comportate in questi casi? Aumentate la classe dove è previsto il Sodio alta, cioè nell’80%dei casi?
    ciao
    Giacomo

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  4. mi è saltato un pezzo di commento…

    Si mi stavo riguardando il punto a cui ti riferisci… la cosa stramba è che mentre quando si parla di sorgenti con Ra>60 si da la possibilità di declassare la strada “con indice di resa dei colori maggiore o uguale a 60 si può ridurre la categoria illuminotecnica”, mentre quando si riferisce a sorgenti con Ra60 si includono le tanto care mercurio alta P. che tutto sono fuorchè sorgenti “ecocompatibili” visto la bassa efficienza e il contenuto di mercurio. e visto che teoricamente la norma è improntata sul risparmio energetico e l’ecocompatibilità….. cì è qualcosa che non torna no?
    Comunque praticamente voi di Hera come vi comportate in questi casi? Aumentate la classe dove è previsto il Sodio alta, cioè nell’80%dei casi?
    ciao
    Giacomo

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    1. [NdR: riporto il commento di Giacomo che WordPress si ostina a tagliare]
      Si mi stavo riguardando il punto a cui ti riferisci… la cosa stramba è che mentre quando si parla di sorgenti con Ra>60 si da la possibilità di declassare la strada “con indice di resa dei colori maggiore o uguale a 60 si può ridurre la categoria illuminotecnica”, mentre quando si riferisce a sorgenti con Ra60 si includono le tanto care mercurio alta P. che tutto sono fuorchè sorgenti “ecocompatibili” visto la bassa efficienza e il contenuto di mercurio. e visto che teoricamente la norma è improntata sul risparmio energetico e l’ecocompatibilità….. c’è qualcosa che non torna no?
      Comunque praticamente voi di Hera come vi comportate in questi casi? Aumentate la classe dove è previsto il Sodio alta, cioè nell’80%dei casi?
      ciao
      Giacomo

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    2. Non mi piace parlare di HERA Luce, ma generalmente non proponiamo noi dei progetti; nelle valutazioni inviateci dai progettisti illuminotecnici ancora non ho visto nessuno applicare questa indicazione (che, ricordo, rimane a scelta insindacabile del progettistia illuminotecnico).
      Come dici tu, è una situazione ridicola: in questo modo la UNI 11248 smentisce le schede dell’ AEEG per i certificati bianchi ottenibili con la sostituzione sodio-mercurio perchè, potendo declassificare una strada con mercurio, il risparmio ottenibile sarebbe notevolmente inferiore.
      La cosa strana in merito alla UNI è che, mentre tutte le altre legislazioni europee basate sulla UNI 13201 non fanno menzione di “declassificazione per luce bianca”, in Italia magicamente compare questa dicitura, proprio quando si sta spingendo il mercato verso una “certa” tecnologia che ancora non fa abbastanza lumen come il sodio e che avrebbe proprio bisogno di “quella spintina in più”…pare a me o “tu sai chi” dirige un certo “tu sai che cosa” che fra i maggiori sponsor annovera proprio “tu sai che multiutility” che sta proponendo proprio “certa” tecnologia?

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    1. Arriva nel prossimo articolo, che sarà appunto incentrato sull’ “apparecchio” illuminante e non solo sulla “sorgente”, con tutti i problemi relativi alle varie componenti.
      In ogni modo sono gradite informazioni e commenti anche sugli ausiliari e sulle problematiche relative al mondo del LED.
      Grazie

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  5. neanche ci ho provato a leggere il megapost.
    io vendo il Dibawatt (alimentatore elettronico dimmerabile per SAP)e sono tutti i giorni presso i Comuni che detengono il 90% dei lampioni italiani. L’impreparazione di amministratori e tecnici è notevole, quindi LED è entrata nel loro immaginario come una figata alla quale non si può rinunciare!!!
    domanda “Ma gli avete mai visti funzionare?” risposta “NO ma dicono che è il futuro”.
    domanda “ce li avete 700 euri x palo?” risposta “NO ma visto che ci mettiamo mano!”
    Posso continuare con decine di domande e risposte che hanno come denominatore comune IL QUALUNQUISMO CON IL QUALE SI AMMINISTRA IL DENARO PUBBLICO!

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    1. Il problema pare essere non soltanto degli amministratori, ma anche di coloro che si proclamano “esperti” e consigliano certe tipologie di installazione che in realtà non sono ASSOLUTAMENTE convenienti per le amministrazioni.
      Comunque ti sarei grato se, con un piccolo sforzo, leggessi anche il post…
      Grazie

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  6. l’illuminazione stradale a LED , ha raggiunto traguardi che solo l’anno scorso erano utopistici.L’inserimento di LED di ultima generazione da
    150 lumen /watt ha reso possibile e conveniente la sostituzione dei corpi illuminanti a vapori di sodio , con altrettanti armature a LED che consentono un risparmio energetico superiore al 70%.

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  7. Ciao Matteo. Vorrei chiederti una spiegazione sulle fotometrie che mi inviano alcuni fornitori di apparecchi a Led.
    Mi è capitato fra le mani uno che monta i Dragon Plus Oval Led della Osram. Ho notato che per apparecchi a 42led ed a 45 led la fotometria è la stessa cambia solo il parametro dell’intensità luminosa. La fotometria è quella del LUW W5PM. E’ corretto eseguire un calcolo illuminotecnico utilizzando la fotometria di un singolo led ed aumentando l’intensità luminosa manualmente quando invece l’apparecchio è composto da un letto di 42 o 54 led aventi singolarmente una emissione luminosa inferiore di 42 o 54 volte?
    Scusami se ti porgo anche un altra domanda: Che significa emissione luminosa tipca (esempio 106 lumen watt a 350mA) ed efficienza luminosa dell’ottica (134 lumen watt a 100mA)?

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    1. Ciao.
      Per quanto riguarda la prima domanda, il problema non sta nei LED, ma nel come sono strutturate le ottiche degli apparecchi illuminanti. In alcuni apparecchi le ottiche secondarie replicano per ogni diodo led la medesima fotometria e quindi “macchia” a terra. Questo significa che aggiungere o togliere dei diodi comporta essenzialmente un “rinforzo” o un “indebolimento” alla macchia già proiettata.
      Altri invece compongono la fotometria “lente x lente”: questo significa che un diodo in più o in meno potrebbe alterare in maniera significativa la fotometria dell’apparecchio.
      Bisognerebbe sapere di che marca è l’apparecchio.
      Per la seconda domanda: esiste una normativa (precisamente la UNI 11356:2010) che distingue in maniera equivocabile i termini che devono essere utilizzati nella caratterizzazione di apparecchi con sorgente a LED.
      Si parla di “efficienza luminosa della sorgente” il rapporto fra flusso emesso dal diodo LED senza ottiche secondarie applicate e considerando unicamente la quantità di energia assorbita dal diodo stesso: un’efficienza del diodo di 120 lm/W a 350mA e Tj=75°C (attenzione, occorre sempre indicare corrente e temperatura) significa che è l’efficienza del solo chip LED nelle condizioni al contorno specificate.
      Si parla di “efficienza luminosa del modulo LED” il rapporto fra flusso emesso dai diodi LED che compongono un’ottica, completi di ottiche secondarie/sistemi di rifrazione e la potenza assorbita da questi (comprensiva di eventuali strumenti meccanici, come ventole, ma senza alimentatore) sempre nelle condizioni al contorno specificate (in questo caso a Ta=25°C +- 1).
      Si parla di “efficienza luminosa dell’apparecchio LED” il rapporto fra flusso emesso dai diodi LED che compongono un’ottica, completi di ottiche secondarie/sistemi di rifrazione e la potenza totale assorbita dall’apparecchio (in questo caso comprensiva di tutto anche dell’alimentatore) sempre nelle condizioni al contorno specificate (anche in questo caso a Ta=25°C +- 1).
      Quindi “emissione luminosa titpica” NON SIGNIFICA NULLA! Occorre specificare a cosa ci si riferisce (diodo, modulo, apparecchio). Il fatto che diminuendo la corrente, aumenti l’efficienza è il naturale risultato del funzionamento dei diodi LED (si veda quanto detto all’interno dell’articolo).
      A presto

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      1. Ciao, ti ringraio per la risposta. gentilissimo come sempre. I corpi illuminanti sono questi:
        [URL=”http://www.phaenomena.it/armature_stradali.html”]lumina[\URL]
        Ciò che non capisco è che secondo me c’è una grande differenza in illuminamento orizzontale fra una singola sorgente luminosa di 4000lumen e 40 raccicinate da 100lumen cadauna; forse però mi sbaglio!

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        1. Ciao a tutti, quanto tempo 🙂
          Ma presa cosi che sia una sorgente da 4000 o tante piccole con un flusso complessivo analogo non cambia. Il problema sorge casomai se l’uso ravvicinato di più sorgenti avviene in maniera non adeguata cioè senza rispettare i parametri minimi di funzionamento considerati dal costruttore di led con conseguenti variazioni sensibili di emissioni di flusso del singolo diodo.
          Per quantoriguarda il prodotto che hai indicato francamente trovo disdicevole che esistano aziende produttrici che confrontano ancora nel 2011 sorgenti LED/sodio semplicemente confrontando il flusso nominale delle sorgenti.
          Come ben ricordava Matteo esiste una normativa molto chiara che definisce l’importanza di valutare la sorgente LED, qualora inserita all’interno di un corpo illuminante, come facente parte di un sistema completo di ottche, lenti e ausiliari elettronici.

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        2. Non so se mi riesce il disegno, ma la modalità è un pò questa:
          1) diodi che replicano l’ottica
          O-
          O-
          O-
          in questo caso se ne manca uno (o si spegne), il flusso viene direzionato sempre allo stesso modo con minore intensità
          X
          O-
          O-
          2) diodi che indirizzano fasci in direzioni diverse
          O/
          O-
          O\
          se si spegne un diodo, manca un “pezzo”
          X
          O-
          O\

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  8. Salve Sig. Matteo,
    sono uno studente di Ingegneria energetica e per un esame devo fare la valutazione della convenienza energetica ed economica nel sostituire l’attuale illuminazione del mio paese (circa 8000 anime) con una nuova a tecnologia Led.
    Ho letto con interesse e piacere i suoi articoli sull’argomento e sono rimasto perplesso nello scoprire quanta disinformazione e cinismo economico ci siano intorno ai led.
    Davo quasi per scontato la convenienza nell’effettuare la sostituzione dei corpi illuminanti e invece ho scoperto che delle lampade SAP di nuova concezione sono migliori degli ultimi led prodotti e costano anche meno.
    Nel mio paese sono già stati piazzati a titolo di prova degli apparecchi tipo Archilede (in numero di 15) e si parla di posizionarne almeno altri 30 e tutto in nome di un risparmio energetico e monetario calcolato sui valori da Lei criticati (temperature di funzionamento max di 63° C, durata media di 60000 ore).
    La mia domanda è se esiste un apparecchio a led davvero performante che può sostituire la vecchia tecnologia (SAP dotati di dibawatt) o se conviene installare lampade SAP di ultima generazione, in modo tale da farlo presente all’ufficio tecnico del mio comune e poter dare realmente un contributo alla mia comunità.
    Volevo chiederle in oltre se mi sa indicare dei testi o dei siti su cui poter approfondire a livello di studio l’ argomento led per illuminazione pubblica.
    La ringrazio per l’attenzione e le porgo i miei saluti.

    Salvatore

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    1. Purtroppo, come ripetuto tante volte, non esiste (oggi) una tecnologia migliore dell’altra: abbiamo a disposizione tanti tipi diversi di sorgenti e apparecchi che sarebbe alquanto riduttivo lavorare solo con due o tre solo perché si vogliono prendere delle posizioni nette a riguardo.
      Il mio consiglio personale è quello di esaminare ogni singolo ambito illuminato e capire quale potrebbe essere la soluzione migliore in termini di costi/benefici: ci potrebbero essere situazioni in cui è più conveniente l’utilizzo di sap, altri il LED, altri ancora lampade a ioduri metallici o, perché no, fluorescenti compatte.
      Per fare questo – mi dispiace – occorre però l’aiuto di un professionista del settore, perché altrimenti di rischia di incorrere in semplificazioni forse troppo spinte (e il fatto che mi stai chiedendo se è meglio il SAP o il LED ne è una dimostrazione) e quindi fare più male che bene. Tra l’altro, per un Comune così piccolo (cos’ha, 1500 punti luce?), il costo è anche modesto per un progetto preliminare.
      Testi o siti non ne esistono perché semplicemente questo lavoro si impara facendolo (come tutti i lavori tra l’altro). Cerchi uno studio specializzato e con loro faccia un’analisi costi/benefici di tutte le soluzioni possibili (includendo anche i costi di manutenzione e servizio) e vedrà che poi troverà sicuramente quella giusta.

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      1. Ciao Salvatore, spero che tu possa leggere questo commento. Sono interessato a questo progetto che stai trattando, anche io studio ingegneria e vorrei portare dei benefici al mio piccolo comune, contattami all’email mattiaderiu89@libero.it che ci scambiamo qualche informazione! Grazie

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